La fine della guerra

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E' mezzogiorno, l'ora della verità. Salgo su una cassetta d'arance vuota rivoltata verso il terreno. Nessuno mi guarda, almeno non ancora. Vedo Parivo in fondo vicino ad una bancarella. E' venuto, come aveva promesso.

"Ascoltatemi gente, ascoltatemi tutti!"

La folla si volta all'unisono verso di me. Il cuore mi batte all'impazzata, non riesco a tranquillizzarmi. Faccio un respiro profondo e riprendo a parlare.

"Come sapete, a Calenia c'è la guerra. Bè, io sono qui per portarvi testimonianza di quello che accade alla gente che come me, perde la sua unica ragione di vita per colpa delle armi. Vedete, il mio ragazzo, Mike, forse alcuni di voi lo conoscevano, è morto poco tempo fa per colpa di questo. Magari non mi capite, ma parlo soprattutto per le mogli o per le fidanzate: cosa fareste se la vostra anima gemella sparisse e se l'ultimo ricordo che avete di lei è il suo volto che vi guarda con tenerezza, mentre voi in lacrime, davanti a lui, lo pregate di non partire, di non lasciarvi? E se foste state informate della sua morte da un generale che neanche lo conosceva? E se l'ultimo suo desiderio fosse stato sposarvi e non ci fosse riuscito? E se nella lettera il generale vi avesse mandato indietro il regalo che gli avevate dato come ricordo di voi? Una collana con le vostre ciocche di capelli. Può sembrare stupido, ma questo è quello che provo: solo dolore per non aver potuto vivere la mia vita con lui. Si dice che tutti abbiano una seconda possibilità, ma se non esistesse? Perché giocare con il destino? Finiamo questa guerra, perchè non esistano più persone che come me stanno soffrendo per una morte che non doveva esistere."

Discorso piccolo, quindi non mi aspettavo applausi, invece ecco che la folla parte in un'ovazione. Non credevo. In fondo molte altre persone stanno soffrendo come me. Riesco a leggere il labiale di una ragazza.

- io non avrei avuto il coraggio di fare quello che ha fatto lei, non so, forse non se ne rende conto, ma potrebbe morire.-

Perché tutti continuano a dire che potrei morire, sto solo parlando. Non credo che nessuno mi ucciderà, almeno per ora. Non riesco a finire di pensarlo. Mi guardo l'addome. E' pieno di sangue. Brucia. E' come se avessi del fuoco nella pancia. Non riesco a far smettere il sangue. Molte ninfe mi si avvicinano per vedere come sto. Mi sdraio per terra.

"Chi mi ha fatto questo?"

Chiedo.

"Ninfe che vogliono la guerra."

Mi risponde una voce.

"La porto all'ospedale."

Dice una voce maschile. Non faccio in tempo a ribattere che vengo sollevata.

Mi sveglio. Sono in un letto bianco, in una stanza bianca. C'è un'enorme finestra alla mia destra. Ho la vista sul palazzo. E' una bellissima giornata di sole e vedo i bambini giocare nel parco. Cerco di alzarmi, ma una fitta al centro della pancia mi paralizza. Urlo di dolore. Ma che mi è successo? La porta bianca si spalanca. Entra una figura tozza, piccolina, muscolosa con una grande barba grigia. Uno gnomo.

"Non ti preoccupare, ti rimetterai."

Dice. Credo che mi abbia sentito urlare.

"Farà male ancora per un po', ma tra qualche giorno te ne potrai andare."

"Scusami, non volevo urlare."

"Figurati. Ma devi stare attenta a fare questi discorsi. La ninfa che ti ha portato mi ha raccontato che cosa hai fatto. Eri impazzita?"

"Volevo far smettere la guerra perché il mio ragazzo è morto sul campo. Ti sembro ancora una pazza?"

"Sì. Sai cos'hai ottenuto? Solo una pallottola nello stomaco. Il tuo ragazzo non è tornato e la guerra non è finita. Ti consiglio di non riprovarci perché la prossima volta mireranno al cuore.".

Le sue parole mi fanno tornare in mente quelle del generale.

"Pensi che dopo che avrai fatto il tuo discorso cambierà qualcosa? Che la guerra finirà? Che tutto sarà come prima e che Mike tornerà? Ti sbagli, nulla sarà più come prima. Quello che è stato è stato. Noi dobbiamo solo ricostruire le cose e far sì che non accada più, che la gente non brami solo potere ma anche amore o amicizia."

Non rispondo.

"Non ci pensare."

Sorrido.

"Ti cambio la medicazione e poi torno domani. D'accordo?"

Slaccia piano la benda. Non ho il coraggio di guardare la ferita. Mi spalma una pomata. Brucia da morire. Faccio un piccolo gemito.

"Scusa, ma è per il tuo bene."

Annuisco. Sopporto il dolore. Mi benda di nuovo.

"Okay, adesso vado."

Esce dalla stanza e chiude la porta. Devo stare lì tutto il giorno e non ho nulla da fare. Mi volto e guardo fuori della finestra. Vedo il giardino dell'Accademia. E' più un orto botanico che un giardino. Alcune di quelle piante le ho curate anch'io. Sono curative per la maggior parte. Dopo il giardino si scorgono le antiche mura della scuola. Mattoni rossi, bellissimi. Chiudo gli occhi e aspetto. Ogni tanto li riapro per guardare fuori. Il cielo vira di colore. Da azzurro a rossastro a blu a nero. Mi addormento.

Nella notte mi sveglia un coltello puntato alla gola.

"Piccola, cosa credevi di fare?"

Mi chiede una ninfa vestita di nero.

"Chi sei? Che cosa vuoi?"

"Sempre le stesse domande."

Il mio cuore perde un colpo. Per fortuna nel letto c'è un telecomando per chiamare l'infermiere. Lo cerco con la mano.

"Cerchi questo?"

Chiede l'uomo mostrandomi un telecomando. Non rispondo. Questo è un bel guaio. Io non voglio morire. Cerco di farmi venire in mente in fretta una bella idea. Purtroppo nulla.

"Lo prendo per un sì."

Scherza l'uomo.

"Allora. Dimmi chi sono i tuoi complici. Chi ti ha aiutato?"

"Nessuno. Ci sono solo io."

"Ecco l'eroina. Forse non mi sono spiegato. Chi lavora con te?"

Preme il coltello contro la mia gola e una goccia di sangue bagna la lama.

"Sono da sola."

"La mia pazienza ha un limite."

Riesco a muovere la mano senza che lui se ne accorga, afferro la lampada e la lancio contro la porta. La luce va in frantumi. Comincio ad urlare. Mi mette una mano sulla bocca e preme di più il coltello.

"Stupida, che fai?"

Gli mordo la mano. Lui la toglie lasciandosi scappare un urlo.

Con un gesto rapido gli faccio cadere il coltello dalle mani e lo raccolgo. Lo stomaco mi fa malissimo, ma qui c'è in gioco la mia vita, devo continuare. Ruoto su me stessa e gli finisco alle spalle. Gli do un calcio sulla schiena. Lui finisce carponi. Mi abbasso e gli punto il coltello alla gola.

"Chi sta vincendo adesso?"

Gli chiedo.

"Io."

Risponde facendo una capriola, liberandosi dalla mia stretta, estraendo una pistola e puntandomela alla testa. Io ho ancora in mano il coltello. Lui è in vantaggio. La porta si spalanca ed entra un guerriero in nero. Fantastico, ora siamo due contro una. Ma, al contrario di quello che mi aspettavo il nuovo guerriero è dalla mia parte in quanto agguanta il mio assalitore e gli taglia la gola. Senza parlare, senza aspettare, a sangue freddo. Il corpo del mio assalitore cade senza vita sul pavimento. Il sangue gli cola dalla carotide. Il suo corpo n'è avvolto. Mi fa ribrezzo. Mi siedo sul letto incapace di distogliere lo sguardo da quella scena raccapricciante. Mi dispiace anche per il mio assalitore. Mi voleva uccidere, certo. Ma vederlo lì senza più vita mi lascia tristezza nel cuore. Il mio salvatore mi appoggia la mano su una spalla. Il suo costume nero lascia intravedere solo gli occhi, ma vi ci leggo rassicurazione. Mi sta confortando con lo sguardo. Muove una mano e la tristezza mi lascia. Senza rivolgermi la parola la ninfa si volta ed esce agile dalla finestra.

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