A casa

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La mattina vedo l'alba. Non ho dormito molto, ogni volta che mi addormentavo rivedevo il corpo senza vita del sicario. L'ho anche dovuto spostare in corridoio perché non riuscivo a tenerlo lì. Ormai saranno le nove e la porta si apre. Impugno la pistola, l'ho conservata per sicurezza. Entra lo gnomo. Abbasso l'arma.

"Non dovresti tenere una pistola in ospedale. Dammela."

"Non ci penso proprio. Questo non è un posto sicuro."

"Sei viva, quindi lo è."

"Per miracolo."

Ribatto. Non risponde.

"Questa notte si è intrufolato un sicario. Non hai visto il corpo in corridoio?"

"Pensavo fosse un paziente suicidato."

"Chi si suicida di solito non si taglia la gola. Primo perché è scomodo tagliarsela da soli, secondo perché è una morte lenta e dolorosa, per questo di solito si prediligono le pistole."

"Io non sono un medico legale e comunque non ha importanza. L'hai ucciso con la lampada?"

Chiede indicando i cocci sul pavimento.

"No, a sottolineare la poca sicurezza di questo ospedale è entrato il mio salvatore."

"Bè, la poca sicurezza ti ha salvato."

"Era la poca sicurezza che mi stava per far uccidere."

Sono sconcertata dalla calma dello gnomo.

"Mi dispiace."

Mi dice. Il suo cuore di ghiaccio si scioglie.

Sorrido.

"Ti devo portare via da qui."

"Ma io non sono guarita."

"Lo so, ma è pericoloso per te stare qui."

Non rispondo. Forse ha ragione. Non voglio incontrare di nuovo persone simili al sicario di questa notte.

"Allora?"

Insiste.

"Okay."

"Partiamo subito."

Mi aiuta ad alzarmi e mi vesto, poi partiamo.

Prendiamo un cavallo appena fuori dall'ospedale, guida lui. Io sono seduta all'amazzone dietro con le braccia incrociate sul suo ventre. Galoppiamo per un tempo imprecisato e ci fermiamo soltanto quando arriviamo ad una radura. Mi sente ansimare.

"Come stai?"

"Potrei stare meglio."

Mi aiuta a scendere da cavallo e mi sdraia sull'erba.

"Posso guardare?"

Chiede indicando la ferita. Faccio segno di sì con la testa.

Sposto la mano dallo stomaco. Appena la tolgo il dolore aumenta tantissimo. Faccio un piccolo scatto indietro.

Mi alza la maglia e comincia a togliere la benda. Ogni volta che toglie un pezzo di benda il dolore aumenta ancora di più. Quando la ferita è a contatto con l'aria, il dolore è così forte che non riesco a non urlare.

"Scusa, scusa... mi dispiace..."

"Niente."

Riesco a dire. Lo gnomo guarda la ferita con occhio clinico per molto tempo. Ho paura che sia qualcosa di brutto che non ha il coraggio di dirmi.

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