38. Nonostante tutto, il per sempre é per sempre

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Zayn's pov
Un cumulo di polvere mi arrivò dritto in faccia. Tentai di togliere la polvere dagli occhi per poter focalizzare ,o meglio per poter capire chi fosse il coglione,che mi aveva provocato questo terribile bruciore agli occhi. Appena alzai gli occhi notai che non era stato nessuno, bensì il forte vento che c'era per le strade di Manhattan.
Il freddo di dicembre era terribile, e con una semplice giacchetta di pelle era impossibile riscaldarsi al meglio. Pensavo che guardando il volto della gente felice potessi dimenticare i miei problemi. Pensavo che guardandoli con quello sguardo vuoto mi cimentassi nelle loro vite, come se i miei problemi non fossero mai esistiti, come se io non aspettassi un bambino dall'unica donna che amo.
Cercai di poter camminare più velocemente possibile, ma non mi riuscì. Ero senza forze, e la mancanza di cibo non mi aiutava di certo a camminare, senza alcuno sforzo. Il mio braccio si scontrò violente con un'altra persona, il che mi fece quasi cadere.
-Stai attento, ragazzo.-mi disse un uomo con un tono rude e autoritario. Come se io fossi un pezzente, o peggio, un barbone. Stavo barcollando, non ero ubriaco, non lo ero. Erano passati due giorni che non mangiavo e mi sembrava che fosse passato un secolo.
Il solo ricordo dei giorni precedenti mi fece rabbrividire. Ero scappato, ero un codardo, lo so. Le cose si fanno in due, lo so, ma dovevo andarmene. Dovevo trovare necessariamente qualcosa per potermene andare.
Non me l'aveva detto, e questa cosa mi fece arrabbiare.
Il mio subconscio sapeva che Demi non ne fosse a conoscenza, ma nonostante ciò mi convincevo il contrario. Dovevo abbandonarla al suo destino, al loro destino. Non avrebbero dovuto essere con me, come è giusto che sia. Non riesco ad immaginare come al momento sia delusa e distrutta, per colpa mia. Quel giorno all'ospedale me ne andai con un passo felpato e con tanta rabbia in corpo che raggiunsi Manhattan in poco tempo.
La gente camminava freneticamente accanto a me, alcune volte spostandomi e facendomi barcollare ancora di più . Al momento desideravo soltanto essere davanti ad una bistecca, una birretta e forse anche ad un piatto di pasta.
Passai davanti ad una vetrina di vestiti e notai quanto malconcio fossi. Il mio viso era scavato, pallido, triste. I miei vestiti era tutti spiegazzati e pieni di polvere, come se fossero quelli dei barboni, o forse quelli erano migliori dei miei. Notai con quanta malinconia guardavo la mia figura. Mi ero ridotto forse uno straccio. Non avevo bevuto, ma è come se lo avessi fatto.
Passai la vetrina e mi accorsi che accanto ad essa c'era una cabina telefonica.
Mi diressi, con fatica , cercando di chiamare qualcuno che non fosse Demi, mi avrebbe insultato al cento per cento e niente più. Presi le poche monete che riuscii a scovare dentro la tasca e premetti l'unico numero che in quel momento la mia memoria ricordava.
Ero sicuro che mi avrebbe aiutato, nonostante fosse passato del tempo, nonostante lo avessi abbandonato, nonostante non fossi in grado di reggermi in piedi.
Dopo vari squilli mi rispose, con quella voce così sicura, senza alcuna esitazione.
-Pronto?-
-P-pronto?-Esitai.
-Zay.-mi aveva riconosciuto, nonostante il mio viso fosse solcato di lacrime e disperazione e la mia voce era più che un flebile sussurro, appena udibile.
-Ti prego Liam, vieni.-
-Dimmi dove sei.-disse prontamente.
-Manhattan.-riuscii a dire e poi sentii interrompere la linea.
Mi trascinai a terra, chinando il capo. Guardai la gente che camminava furtivamente con le loro ventiquattr'ore strette nelle loro mani perfette, apparentemente senza difetti. C'era un enorme differenza tra loro e me.
Noi eravamo l'esatto opposto di tutte quelle persone felici, o perlomeno era ciò che dimostravano.
Ero sicuro che mi avrebbe aiutato. Erano passati molti anni quando ci vedemmo l'ultima volta. Avevamo deciso di prendere delle strade diverse, eravamo tutti consapevoli che nessuno doveva avere bisogno di nessuno. Avevamo deciso di separare il nostro cuore, le nostre menti, i nostri corpi. Avevamo deciso di divederci nonostante avessimo fatto la promessa del "per sempre", nonostante avessimo fatto un patto di sangue.
Eravamo i punti deboli di tutti noi, toccavi uno di noi, toccavi tutti. Non potevamo rischiare. Eravamo consapevoli che avremmo sempre litigato, facendo prevalere i nostri diversi caratteri, dominati dal nostro orgoglio.
Essere amici significa appunto essere costantemente presente, noi non eravamo così. La nostra amicizia era basata su un legame indissolubile, indipendentemente se ci trovassimo lontani, se avessimo litigato a morte, se ci avessimo rubato la ragazza a vicenda.Il nostro per sempre era per sempre, in qualche posto, per qualunque cosa, nonostante tutto.
Sentii una fredda mano,pulita sfiorarmi. Alzai il capo e vidi la chioma castana di Liam. Lo aiutai a mettermi meglio sulla propria spalla. Il mio peso non era eccessivo anche perché il troppo fumo e l'alcool ingerito non lo permettevano.
Mi posizionò sui sedili rossi, e poi mi addormentai senza forze.

Il caldo che era presente nella stanza mi cullava come se fosse una sinfonia, una dolce melodia. La coperta che avvolgeva il mio corpo mi abbracciava come se fosse un orso, un gigante orso. Nonostante il caldo, le mie gambe mi martellavano a causa di un dolore atroce. Sentii un dolce profumo di biscotti al cioccolato accompagnati da una tazza di cioccolata fumante. Ero per caso in paradiso? Mi svegliai e la prima cosa che vidi fu il dolce sorriso di Liam. Ricambiai con un debole sorriso, per poi fiondarmi su quella bontà.
Mentre Liam ridacchiava fra sé e sé, mi chiese per quale strano motivo mi fossi ridotto così. Lo guardai con uno sguardo malinconico, e forse capì che non avevo intenzione dì parlarne.
-Grazie Liam, grazie davvero.-dissi con un sorriso sincero.
-Non ti abbonderei mai, Zay.-
Scoppiai in un pianto isterico, liberatorio. Cercavo qualcuno che mi capisse, che non mi giudicasse, che mi appoggiasse nonostante avessi torto. Liam mi accolse in un forte abbraccio. Mi accolse di nuovo nella sua vita, mi fece diventare il suo punto debole.

La forte luce del sole mi fece svegliare.
La malinconia e la tristezza del giorno prima erano sparite, l'avevo completamente accantonate in una piccola parte del mio cuore, facendo prevalere il menefreghismo e la freddezza. Ero ciò che ero. Dovevo dimenticarmi tutto di lei, il suo profumo e soprattutto i suoi occhi così profondi, almeno così credevo.
Non volevo che mi mancasse il suo sorriso e la sua innocenza, l'avevo abbandonata e non mi avrebbe mai perdonato, era ciò che volevo. Avevo abbandonato il suo, il loro destino, in un futuro migliore, cosa che non avrebbero avuto con me.
Mi alzai e scesi in cucina.
-Buon giorno Liam.-dissi con un tono freddo e distaccato.
-Ben tornato Zay, mi eri mancato eh.-disse con un tono ironico e forse anche con sarcasmo.
-Vado a cercare un lavoro cosicché ti possa aiutare con le spese.-
-Non ce n'è bisogno, ma se lo vuoi fare...-Riconosceva che non avrei cambiato la mia idea, nonostante non fosse quella giusta.
-Liam per favore non dire a nessuno che io sono qua.-
-Non preoccuparti, ma c'è un problema. Sei costretto a vivere anche con la mia fidanzata, Aurora.-disse con un sorriso dispiaciuto.
-Non c'è problema.-lo rassicurai.
Non sarebbe stato facile. Non avrebbe permesso di mettere in atto il mio piano:dimenticarla.
Dopo aver finito la colazione preparata dal moro, uscii di casa.
Avevo già in mente cosa potevo fare: il barista. Avevo esperienza e soprattuto c'era un bar vicino casa di Liam, il che mi risparmiava tempo la mattina e la sera non avrei aspettato molto tempo prima di ritornare.
Entrai nel locale ed era abbastanza accogliente. Già iniziamo bene. Accanto all'entrata c'era incollato un annuncio in cui cercavano personale, e chi se non me?
Mi avvicinai al bancone dove c'era una ragazza mora e slanciata. Feci un finto colpo di tosse, e la ragazza si girò. Appena si accorse di me sorrise imbarazzata. Facevo questo effetto a tutti, lo so.
-Sono qui per l'annuncio.-andai dritto al punto, senza cercare di persuaderla, senza né rimorchiarla e né fare il gentil uomo, cosa che non ero.
-Certo, mi servono i tuoi documenti.-mi disse con un sorriso ancora stampato in volto. La troppa sicurezza mi fece capire una cosa; o era lei il capo, o si faceva il capo e quindi aveva il pieno controllo del locale. Nel dubbio,chiesi.
-Vorrei parlare con il capo.-continuai con un tono sfacciato.
-In persona. Megan.-mi porse la mano che prontamente strinsi.
-Zayn.-dissi soltanto.
-Stasera puoi già lavorare. Presentati alle 20.00 con i tuoi documenti. Non fare tardi, il capo odia i non puntuali.-mi sorrise e tornò alla sua postazione precedente, ovvero dandomi le spalle.
L'avevo già conquistata, ne ero più che certo.
Non mi resta che augurarmi: buon primo giorno di  lavoro .

I have a dream #Wattsy2018 (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora