Capitolo X.

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'Si narra che l'usignolo amasse la rosa da abbracciarla così tanto che le spine gli trafissero il cuore.'
-Oscar Wilde-

La mattina seguente mi svegliai molto tardi e sentivo di star già recuperando parte delle energie perse.

I miei genitori non c'erano, ma notai un'infermiera che stava cambiando la flebo.

Decisi di chiamarli.

Sentivo il bisogno di parlare con loro e sapevo che dovevamo chiarire alcune cose.

Arrivarono in breve tempo.

Li guardai in viso e concentrai la mia attenzione sui loro occhi.

Erano molto diversi ma così uguali.

Avevano assunto un aspetto tragico, cupo e pensieroso; sapevo benissimo che la causa del loro malessere ero, ancora una volta, io.

Solo io e nessun altro.

Non feci in tempo a dire nulla che entrambi mi abbracciarono.

Quell'abbraccio era carico di emozioni, di gioia e di disperazione.

Non ressi e crollai in un pianto liberatorio.

I nostri corpi erano, per la prima volta, a stretto contatto e le nostre anime infelici si erano finalmente unite in una gloriosa rinascita.

Eravamo diventati inseparabili, indivisibili.

Dopo un tempo imprecisato, in cui restammo uniti, ci separammo.

Non erano servite parole per chiarire tutte le incomprensioni di questi lunghi anni.

Adesso mi sentivo loro figlio, un tassello immancabile nella loro vita, il pilastro che le avrebbe rette fino alla fine dei giorni.

Mi dissero che Violet era passata durante la notte.

I miei occhi si illuminarono.

Evidentemente, per oggi, le sorprese non erano ancora finite.

Mi spiegarono che l'avevano incontrata, non era rimasta per molto, ma aveva chiesto ai medici delle informazioni riguardo il mio stato di salute.

Subito dopo era corsa via.

Questo, in parte, mi consolava.

Voleva dire che si era preoccupata per me.

Sarebbe potuta restare fino al mio risveglio, se avesse avuto realmente intenzione di vedermi e parlarmi.

Evidentemente non aveva ancora superato lo choc...

I medici mi dissero che mi avrebbero dimesso presto, ma avrei dovuto seguire ogni settimana un incontro con uno psicologo, che avrebbe capito il mio stato emotivo e, in caso di emergenza, fermato i miei probabili istinti suicidi.

Le giornate in quella stanza d'ospedale trascorrevano lente, terribilmente lente.

Vedevo molte persone entrare vive e uscire morte, in quel luogo che avrebbe dovuto aiutarli.

Era straziante vedere bambini, anche di tenere età, entrare nelle stanze buie e colme di tristezza dove avrebbero dovuto sopportare le dolorose chemio, ma era ancor più distruttivo vedere i loro genitori con le lacrime agli occhi ogni giorno, con la costante paura che Cristo potesse strappare i loro figli dalle loro possenti braccia.

Avevano paura che i loro fiori venissero colti troppo presto.

Avevano paura di non ricevere più la buonanotte, un bacio od un semplice "ti voglio bene" dai loro piccoli angeli.

Chi avrebbe colmato il vuoto da loro lasciato?.

Forse Cristo?.

Forse un nuovo bambino?.

Forse un lungo e interminabile pianto?.

Nessuno può saperlo.

Io però so che ogni notte, prima di dormire, ringraziavo Cristo per il suo essere magnanimo nei miei confronti e lo invitavo a fare ciò anche con tutte quelle povere anime colme di vuoto e disperazione.

Cosa avevo io di tanto speciale da essere salvato?.

Perché la mia stessa fine non sarebbe capitata ai presenti nella mia stanza d'ospedale?.

Con questi profondi e inspiegabili interrogativi mi addormentai.

Buonasera a tutti!.
Ecco il decimo capitolo.
Siamo a 1.22 mila, circa.
Sono contentissimo.
Come avrete notato, ho iscritto la storia ai #wattys2016 quindi...commentate e stellinate in tanti!.
Nulla, ci vediamo mercoledì. Spero passerete una buona serata!🌙

Maledetta Vita. #Wattys2016                              |IN PAUSA & REVISIONE|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora