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Il percorso continuò in totale silenzio, nessuno dei due aveva più accennato a parlare, e per me quelle strade asfaltate e le case, erano diventate improvvisamente interessanti e di compagnia.

Sentii il rumore della freccia alternare, e il freno a mano tirato. Segno che eravamo arrivati. Aprii lo sportello, scendendo. Aspettando che Daniel mi accompagnasse. Stringevo la cartellina tra le mani, prendendo un respiro. Premetti il pulsante verde, vedendo la porta aprirsi per richiudersi alle mie spalle ed aprirsi quella davanti, facendomi entrare del tutto.

Guardai lo sportello libero. Un signore dai capelli brizzolati attendeva il prossimo.
Daniel mi fece cenno di andare avanti ed annui.

"Salve, s...sono qui per ritirare degli oggetti che si trovano nella cassaforte" affermai balbettando, con il cuore in gola.

Mi guardò annuendo.
"Che nome?" Chiese, cliccando qualcosa al computer.

"Eleonor Anderson" sussurrai cercando di non perdere le poche parole che uscivano fievoli e filanti tra le labbra prosciugate.

Si aggiustò gli occhiali, controllando sul monitor. Quando mi rivolse un'occhiata annuendo.
"La numero 24, ho bisogno prima di un documento, sono oggetti personali, che parentela ha con la signora? Avrei bisogno di una sua firma se è possibile, altrimenti deve ritornare con lei" m'intimò mentre staccai la cartellina dal mio petto e l'aprii porgendogli con mani tremolanti i fogli del testamento, e la mia carta d'identità stropicciata.

Revisionò i fogli, leggendo attentamente, i secondi sembravano infiniti e l'orologio affisso sulla parete aumentava l'agitazione ticchettando ogni istante.

"Perfetto. La combinazione è scritta su questa targhetta" estrasse una targhetta di metallo dal cassetto bianco della scrivania, porgendomelo, scanner issando i fogli ed i documenti per ridarmeli, ringraziandolo.

Mi girai verso Daniel deglutendo, avviandomi verso la cassaforte con lui al seguito.
Leggevo tutti i numeri impressi sopra ad ognuna, quando trovai la mia.
Iniziai ad immettere il primo numero, con l'ansia a fare da scenario, quando non ci riuscii a finire. Vidi Daniel prendere la targhetta al posto mio digitando gli ultimi tre numeri, facendo aprire la cassaforte che si spalancò, rivelando una busta con all'interno inserti trasparenti contenenti tutti gli oggetti preziosi di mia madre.

Richiuse la cassaforte, riportando la targhetta, uscendo dalla banca.

"Scusami per prima, io...non so che mi sia preso" rivelai, spostandomi una ciocca dietro l'orecchio, mentre ci avviavamo verso la macchina.

Si fermò concentrando l'attenzione su di me.
"Non ti devi scusare" affermò risoluto. Il suo tono era diverso con me, ed i suoi occhi erano dello stesso colore del mare di notte, scuri e misteriosi, ma una luce infondo mostrava quel poco che bastava.

Feci un passo avanti, scuotendo la testa.
"Ed invece si. Hai fatto tanto per me, e tutt'ora" replicai guardandolo, mentre il suo viso era girato in un'altra direzione guardando un punto fermo, infilandosi le mani in tasca.

"Non lo faccio per te, ma per James. Mi sembrava chiara la questione" gettò quelle parole al vento, arrivandomi dritte in faccia come una folata prepotente. Rimase a fissare il punto, quando girò piano il volto verso i miei occhi pietrificati e sgranati per l'irruenza.

"Sei stato chiaro, molto" lo rimbeccai. Facendo gli ultimi passi svelti verso la macchina, stringendo la cartellina e il sacchetto al petto, aprendo lo sportello salendo, sbattendolo forte, quasi da farmi sussultare.

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