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Il dolore non è una sensazione, è qualcosa che ci portiamo dentro di noi, per ricordarci che siamo esseri umani, fatti di carne e di sbagli.

Mi ero preparata per la 'Grande' serata. Lo specchio che mi si prospettava davanti mi mostrò ciò che realmente nascondevo. Tanta ansia e tanta paura. La paura di sbagliare, la paura di tentare. Eppure mi ripetevo che dovevo e non potevo cedere.

La forza è stata sempre un'amica e un'alleata per me, in tutta la mia vita.

Mi aggiustai le spalline del vestito sulle mie spalle esili, una folata di vento che entrò dalla finestra mi fece accapponare la pelle.

Presi il lipgloss poggiato sul comò, tra le dita, svitando il tappo nero, per applicarmelo, mi contornai incerta le labbra che sembravano rifiutare quella sostanza appiccicosa, unendo le labbra perché fosse perfetto, riposandolo.

Mi diedi un ultima occhiata fugace, prima di aprire la porta ed avviarmi al piano di sotto.

Come sempre trovai le ragazze già accompagnate dai tanti uomini che affollavano il locale. Camminavo seguita dagli sguardi di uomini e occhiatacce di invidia dalle donne. Forse perché al contrario di loro non facevo di tutto per essere notata, forse perché al contrario di loro non volevo essere notata, sperando che se i super poteri potevano esistere oppure il mantello per diventare invisibili, avrei voluto averlo, per scomparire.

Battei una mano sul bancone quando gli occhi del barista, che ormai conoscevo, si rivolsero verso di me, mostrandomi un sorriso.

"Sempre il solito Cindy?" Chiese sporgendosi verso di me, puntando il suo sguardo sul mio seno.

Mi tirai su, per non dargli modo e non dargli adito. Non avevo voglia di discutere. Levandogli la visibilità in modo che riportasse gli occhi sul mio viso.
"Il solito" affermai quasi arrendevole, aspettando il bicchiere, girandomi, dando le spalle al bancone, per guardarmi intorno.

Sentii il rumore del bicchiere poggiato sul bancone. Allungai il braccio per prenderlo, quando mi rigirai portandomi il bicchiere sulle labbra, vidii i suoi occhi blu puntarmi e venire verso di me.

Il modo di camminare e la sua compostezza mi facevano tremare e mi ricordavano le movenze di James, sentendomi persa e fragile come un bicchiere di cristallo.

Quando notai Linda, prenderlo dolcemente per il polso, rivolgendomi un'occhiata complice, mentre lui si girò con lo sguardo spaesato, come se non capisse perché il suo tragitto per arrivare a me fosse stato bloccato.

La guardai allungarsi verso il suo orecchio, sussurrandogli qualcosa. Lo vidii annuire, lanciandomi un'ultima occhiata prima di seguirla, sentendomi mancare.

Non ci sarebbe voluto molto, a minuti sarebbe stato qui il mio cliente.

Se Luke avesse voluto nessuno gli avrebbe impedito di venire da me, o almeno tentare di parlarmi, ed invece si era girato, andandosene.
Potevo fidarmi di Linda mi ripetevo in testa.
Non avrebbe avuto senso trarmi una trappola.

Scossi la testa come per dissentire, quando una mano ruvida toccò la mia spalla, portandomi a girarmi, senza alcuna paura, sapevo che era arrivato.

Aprii bocca per parlare, ma la richiusi subito, trovandomi in difficoltà.
Tra tante persone che potevo immaginarmi non immaginavo il signore che voleva portare all'apice James.

Il signor Robowsky.

Un uomo viscido, e casca morto. Guardava tutte con interesse, fissandole senza ritegno.
I capelli brizzolati gli avrebbero conferito un'aria da piacione se solo non fosse stato così repellente ai miei occhi, quegli occhi nocciola che ora mi fissavano pieni d'interesse, incurvando le labbra all'insù.

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