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Mi misi a sedere a gambe incrociate sul letto, scrutando la stanza. Le pareti tinteggiate di celeste cielo, un comò bianco su uno stile vintage, ed un comodino del medesimo colore a fianco al letto.

Mi ricordavo poco o niente della serata precedente. Solo che ero stata scortata in una stanza, appesa, ed una luce accecante che mi puntava dritto per illuminare il mio corpo messo in mostra.

Non potevo crederci che era tutto finito, finalmente libera dalla gabbia dorata. Anche se il timore che Rudy mi ricercasse era sempre dietro l'angolo, potevo tirare un sospiro di sollievo, ma dovevo tenere alta la guardia, soprattutto ora che James...non sapevo neanche dove fosse, ed i pensieri più atroci s'incanalavano nella mia testa.

Mi ricordavo dei suoi pozzi leggermi l'anima spenta, quell'anima che mi aveva preso portandosela con se chissà dove. Ma le labbra che mi baciavano nel sogno non erano le sue. Avevano un gusto diverso, nuovo. Un sapore frizzantino, sentivo le screpolature ruvide, la delicatezza nel modo di trasportare la mia lingua dentro la sua bocca, non era esigente, non era avido e bisognoso, era una scossa lenta, come se volesse assorbire le mie sensazioni in quel momento. Forse era un sogno, ma era talmente reale che potevo toccarlo quasi con mano, eppure Luke aveva smentito, non potevo tradire un corpo ed un cuore che erano proprietà di un altro, anche con la lontananza e la mancanza ero già firmata dentro di lui.

Mi persi ad osservare oltre la grande vetrata che c'era nella stanza, chiusi gli occhi sospirando, assaporando la libertà che mi mancava da tanto.

Quando sentii riaprire la porta mi girai di scatto con il cuore che rimbombava. La paura giocava ancora con me anche se potevo stare tranquilla. Vidi Luke avanzare verso di me con un vassoio con della marmellata, croissant e succo di frutta, poggiandolo ai piedi del letto.

"Grazie Luke...ma non ho molta fame" rivelai, incrociando le gambe. Mi guardò torvo, con un'espressione che non ammetteva repliche.

"Sei debole Cindy, devi mangiare qualcosa" disse sommesso porgendomi un croissant, che presi in mano, tirando un piccolo morso con lo stomaco ancora in subbuglio, masticandolo piano come se fosse cemento.

Notai come mi fissava le labbra mentre mi portavo il succo di frutta alla bocca. Mi metteva agitazione, aveva uno strano effetto il suo blu scuro, rivelava tutto eppure niente. Effettivamente io non sapevo niente di lui, eppure la mia testa continuava a ripetermi come un disco rotto che di lui mi potevo fidare.

Si avvicinò sporgendosi con il busto in avanti aumentando il mio battito cardiaco, lasciandomi immobile. Quando sentii che mi sfiorò con la mano la tempia, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Sussultai per quel contatto che quasi mi solleticava e mi dava piacere, un piacere dolce, portandomi a chiudere gli occhi.

Quando si scostò allontanandosi in fretta da me, come per paura di qualcuno o meglio qualcosa.

Forse erano ambedue le cose. Ero solo un'anima solitaria che aspettava che il suo cuore cominciasse di nuovo a palpitare. Sapevo che la mia metà di anima era là fuori, la parte pura di me, al momento ero macchiata d'inchiostro nero, e non potevo lavarlo via.

"Devo andare" asserì guardandomi con occhi persi e confusi, mettendo una mano in tasca.

"Dove?" Chiesi timorosa, con la paura che mi lasciasse lì da sola. Potevo essere al sicuro, ma ero ancora scossa dagli avvenimenti, e tutto intorno era terrore.

Si passò la mano libera tra i capelli castani, spostando lo sguardo alla vetrata.

"In un posto. Torno presto" rivelò rispostandosi verso il mio volto confuso.
Era troppo misterioso. Chi era davvero questo Luke?!

Decisi di acconsentire, vedendolo avviarsi alla porta liquidandomi con un "a dopo".

Scesi dal letto a fatica, la testa ancora girellava per i fatti suoi.
Mi tolsi la maglia, scoprendo i lividi violacei che mi facevano male.
Aprii l'armadio vedendo delle maglie da donna pulite, probabilmente le aveva comprate per me.
Ne scelsi una a caso a maniche lunghe per coprire i segni, con uno scollo a V.
M'infilai le scarpe, e constatai dalla vetrata che stava partendo in quell'esatto momento, mettendo in moto la macchina.

Scesi i gradini di fretta, anche se la stabilità non era delle migliori, ma dovevo sapere, i misteri avevo capito che non erano mai un buon presagio.

Trovai una bici all'uscita del portone, appoggiata al muro tinteggiato di rosa pallido.
La presi, montando sopra, non pensando troppo alle conseguenze. Il croissant almeno mi aveva reso un po' di forze necessarie e la pasticca iniziava a fare effetto, diminuendo l'indolenzimento e i dolori forti alla tempia che avevo appena sveglia.

Le macchine sfrecciavano, ma io tenevo d'occhio la sua Range rover Bianca. Facevo lo slalom tra i mezzi che passavano, tenendomi ad una distanza giusta per non essere scoperta.
Il cuore batteva all'impazzata, agitazione, scoperta, affaticamento. Tutte emozioni che mi portavano in un tornado avvolgendomi, ma dovevo resistere.

Le musiche sconnesse che uscivano dai finestrini della macchina a tenermi compagnia, tra clacson ed imprecazioni che volavano a casaccio.

Svoltò a destra, in una contrada. Così feci, rallentando per non essere colta in fragrante, quando dopo 5 chilometri si fermò parcheggiando in uno spiazzato.

Mi fermai con l'affanno appoggiando una mano al muro, scendendo dalla bici poggiandola contro di esso.

Lo guardai uscire dalla macchina, nascondendomi dietro ad un cespuglio, notando l'edificio dove entrava.

Il cuore perse un battito leggendo 'Caserma'.
Cosa era andato a fare?! Le domande si ponevano dentro, e non sapevo dare risposte.
Forse non era un bene essermi fidata troppo.
Forse voleva denunciarmi. Ma per cosa?!

Aspettai 5 minuti, scrutando ogni particolare che potesse farmi intendere qualcosa, quando mi avviai all'entrata.

Aprii la porta con la mano che tremava, e gli occhi guardinghi.
Dei poliziotti gettarono lo sguardo su di me, ritornando a parlare e bere un caffè, alcuni facevano apprezzamenti mentre camminavo intenta a scoprire cosa c'era dietro e dentro di lui, per renderlo così enigmatico.

Non aveva mai accennato a nulla sulla sua vita. Non sapevo neanche il cognome.
Quando da dietro una porta in vetro lo vidi.

Spalancai gli occhi, che iniziavano a gonfiarsi. Il cuore riprese a battere troppo veloce, sentendolo risuonare in tutte le pareti del corpo, facendomi tremare e fremere.
Potevo vedere i suoi occhi, le nubi dove il sole non splendeva, era tutto grigio.
Era un'anima solitaria come me, ora lo sapevo.

Mi attaccai al muro, per paura che i suoi pozzi mi catapultassero nel fondale.
Luke era girato di spalle.

Come faceva a conoscere James?! Cosa era andato a fare lì?! Cosa si dicevano?!

Non smettevo di tartassarmi la mente, le tempie pulsavano, ed i battiti erano sempre più forti e veloci.

Vederlo lì, dentro una caserma, tutto questo tempo.
Non potevo dimenticare, non l'avevo mai fatto.
Solo il pensiero che fosse vivo mi rendeva immensa gioia dentro, capace di far aprire un po' quella rosa dove era racchiuso il mio cuore.

Mi portai una mano su di esso, sentendolo.
Dovevo sapere, non potevo aspettare.

La paura era con me, ma la voglia vinceva su tutto.

Avevo bisogno di lui, e delle spiegazioni.

La rabbia accecava, ma non potevo ingannare l'istinto di stringerlo a me, e sentirmi di nuovo viva, e parte di qualcuno.

Presi un respiro profondo chiudendo gli occhi agitata, spalancando la porta in vetro, che sbatté contro il muro, rischiando d'infrangersi, come il mio corpo quando il blu ed il grigio dei loro occhi puntarono le mie pietre.

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