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Quando finalmente uscì dalla Gringott, Alexis aveva lo stomaco sotto sopra

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Quando finalmente uscì dalla Gringott, Alexis aveva lo stomaco sotto sopra. Pensò che avrebbe dovuto prendere più monete, perché di tornare là sotto, per almeno un altro decennio, non ne aveva proprio intenzione. Si augurò con tutto il cuore che i soldi che aveva preso le bastassero a coprire tutte le spese previste.

Ripreso il controllo del proprio stomaco, e ringraziando mentalmente il fatto che quella mattina non avesse fatto colazione, si frugò nelle tasche della gonna, per prendere il fogliettino che le aveva dato Sirius la mattina precedente: la sua prossima meta era Ollivander, il miglior negozio di bacchette di tutto il regno magico.

Camminò per una decina buona di minuti prima di trovarlo, ma di certo il viaggio non fu noioso: ogni volta che si girava, notava qualcosa di nuovo che la sorprendeva, la faceva sorridere, la meravigliava. Ne scrutò l'interno curiosa, ma non vide nulla: era buio e la stanza sembrava abbandonata. Decise di entrare, per verificare se il negozio fosse davvero vuoto come appariva. Aprì la porta in vetro e questa urtò una serie di bastoncini metallici, appesi proprio sopra di essa, che produsse un tintinnio forte nel silenzio.

Era una stanzetta non molto grande, ammobiliata solo con un lungo bancone in legno, sopra il quale erano disordinatamente sparse alcune carte, e un'enorme scaffalatura ricolma di scatolette piatte.

Alexis si avvicinò al bancone, non appena si affacciò oltre di esso per vedere se ci fosse qualcuno, un rumore improvviso la fece sobbalzare.

Il proprietario del negozio, un uomo sull'ottantina, mingherlino e con paio di occhialetti dall'aspetto fragile, era arrivato trasportato da una scala che scorreva lungo tutta la libreria. «Non volevo spaventarla, signorina» si scusò e scese i pochi gradini. Si avvicinò al bancone e la scrutò con attenzione attraverso i fini occhiali che portava in modo precario sulla punta del naso adunco. «È qui per una bacchetta, immagino.»

Alexis annuì, ancora con lo stomaco sottosopra per il viaggio alla Gringott e con il cuore in gola per lo spavento.

«Bene, bene. Vediamo, posso sapere quel è il suo nome?»

«Alexandra Black» rispose lei per l'ennesima volta in quella mattinata. Sembrava che tutti lo facessero apposta, a sentirle dire quel falso nome, a farla mentire.

«Una nuova Black, dunque...» fece Olivander, pensieroso. La studiò per qualche altro istante, quindi si voltò e prese una delle tante scatoline che erano riposte sulla scaffalatura a parete. La aprì e la mostrò alla ragazza. «Acacia, piuma di fenice, nove pollici, flessibile. Simile a quella di Narcissa Black.» Gliela porse e Alexis la afferrò, stringendola incerta. «Su, su, la agiti!» la incitò il mago da dietro il bancone.

Lei la scrollò con un colpo di polso. Dalla punta venne fuori una scia luminosa, di un verde intenso, che andò a colpire una lampada poco distante. Questa si ruppe in mille pezzi.

Alexis la guardò sconcertata, quindi volse lo sguardo pietrificato verso l'uomo, che già scuoteva la testa.

«No, non è la sua» disse. Riprese la bacchetta e glie ne porse un'altra. «Provi questa: legno di noce, corde di cuore di drago, dieci pollici. Bellatrix Black.»

𝐔𝐧 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐢𝐜𝐨𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐈𝐧 𝐏𝐢𝐮̀Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora