12 - Sam

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Non posso farcela. Se finisco la serata in questo stato, Peter deve pagarmi come minimo trecentomila dollari. Da dietro il bancone del Cavalier alzo lo sguardo sull'orologio a forma di testa di cervo posto vicino all'ingresso, e impreco mentalmente: sono da poco passate le undici di sera, e tutta questa caciara finirà solo verso le due.

Prendo un altro fazzoletto dalla tasca del grembiule nero e mi soffio nuovamente il naso. Ho un mal di testa allucinante, mi sento a tratti calda e fredda, ho il cervello pesante e di tanto in tanto ho dei capogiri; tutto questo è colpa di Brant e la sua stupidissima chitarra.

Fortunatamente sono riuscita a evitare di cantare stasera, ma la musica e il chiacchiericcio fin troppo alto dei ragazzi, mi stanno uccidendo lentamente. Che dovrei dirgli? Scusate, potreste abbassare il volume che non sto tanto bene? Come dite? Che lavoro qui? Ah sì, avete ragione. Sbuffo alzando gli occhi al cielo mi concentro sul nuovo cliente arrivato e che sta ordinando un Long Island e un Martini per la sua ragazza. Servo prontamente l'ordinazione fatta, rivolgendo un sorriso di cortesia ai due e torno a cercare immediatamente un altro fazzoletto. Perfetto, anche gli occhi che mi lacrimano. «Sam, non hai proprio una bella cera. Sei sicura di non voler dire a Peter che stai male?» chiede Clare avvicinandosi a me.

«Sicurissima. È solo un po' di raffreddore, che sarà mai. E poi mi servono i soldi, non sono mica come il novanta per cento dei ragazzini qui dentro» indico con il capo la sala brulicante di studenti e studentesse che si godono il venerdì sera. «Lo so, e ti ammiro per questo. Ma non devi ammazzarti di lavoro se stai male Sam.» mi rimprovera la mia collega. Vorrei tanto restare qui a spiegarle che avere una madre barista ad Oakland, e un patrigno spacciatore, non è proprio il massimo della garanzia per avere un'entrata mensile e pulita di denaro. Ma è meglio sorvolare.

La liquido con un gesto della mano e mi accingo a preparare l'ordinazione del tavolo quattordici. Una volta preparati i tre cocktail, le birre e i shottini, mi appresto a prendere in mano il pesante vassoio dirigendomi verso i ragazzi. «Guarda che bella passerotta che abbiamo qui» esulta qualcuno su di giri non appena inizio a servire il loro tavolo. «Bellezza, te lo faresti un giro con noi dopo che stacchi dal tuo turno?» biascica un altro. Sono decisamente sbronzi, e non ho neanche le energie necessarie per mandarli a fare in culo tutti quanti. Ignoro le loro avance fino a quando non servo tutti quanti e giro i tacchi per tornarmene dietro al bancone.

Non appena giungo in prossimità del tanto desiderato luogo di protezione da ubriaconi molesti, un altro capogiro mi assale e il vassoio che stavo tenendo in mano pieno di bicchieri vuoti, cade rovinosamente a terra. Due braccia muscolose mi afferrano da dietro prima che anche io possa starnazzare al suolo insieme ai cocci di vetro, e il suo profumo mi avvolge immediatamente. «Sam. Stai bene?» domanda preoccupato Axel aiutandomi a mettermi dritta. Poggio una mano sul bancone per sorreggermi e mi volto verso di lui. Oh merda... ma perché si è conciato così da fighettino questa sera? Ha una camici a maniche lunghe nera che lascia i primi bottoni sbottonati, i jeans chiari e le Vans nere che tanto adora. I capelli neri sono arruffati e leggermente all'insù, mentre il viso è contratto da un'espressione di pura e sincera preoccupazione nei miei confronti.

Dopo il crollo del vassoio la musica ha smesso di andare, i clienti del locale si sono girati tutti verso di me, e Peter mi sta raggiungendo con la faccia preoccupata: «Sam, tutto bene? Non hai mai fatto cadere un solo bicchiere da quando lavori qui» mormora preoccupato facendo un cenno al DJ di proseguire con la musica, e a una delle ragazze di turno di venire a pulire il disastro. A me viene solo da vomitare...

«Vuol dire che in questa serata ho rotto tutto quello che mi spettava da rompere» mormoro abbozzando un sorriso che doveva essere ironico. Nella realtà non so quanto lontanamente poteva smembrarlo. Peter scuote la testa, ma l'espressione preoccupata non ha ancora lascito il suo viso: «Sam, va a casa. Non stai bene» in altre circostanze mi sarei anche offesa, ma questa sera c'è ben poco da ribattere. «Conosci qualcuno che può accompagnarti?» mi chiede poi, intanto che mi slaccio il grembiule e glielo restituisco.

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