Quasi quindici anni dopo...

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New York City - Axel

«Sì, perfetto. E anche la mostra di Klimt. Perfetto. Bene signor Kavagan, le auguro un felice Ringraziamento». Concludo la telefonata e finisco di battere le ultime righe per il documento che permetterà lo spostamento di cinque note opere artistiche dal Louvre di Parigi ad una delle più importanti gallerie d'Arte di New York: il MoMA Museum. Chiudo il laptop e alzo lo sguardo verso l'immensa libreria a parete del mio ufficio, sulla quale sono disseminate un po' ovunque foto degli ultimi anni. Ma le mie preferite rimangono quelle posate sulla mia scrivania! Abbasso lo sguardo sulla cornice tempestata di conchiglie e piccoli panda che Sam ha definito «Schifosamente originale!» e osservo noi due il giorno del nostro matrimonio. Osservo attentamente Sam che mi cinge il collo con le mani e mi guarda sorridente, ma non appena il mio sguardo cade sui suoi piedi, scoppio in una fragorosa risata!

Si è rifiutata categoricamente di indossare le scarpe con il tacco e al loro posto ha sfoggiato un paio di Converse bianche che tutti hanno fissato allibiti. Ricordo benissimo il giorno del nostro matrimonio e ancora oggi non saprei dire chi dei due fosse il più nervoso!

«Amore... dove sono le tue scarpe?» le chiesi entrando nella piccola stanza della chiesa dedita alle sposte. Dopo quindici minuti buoni che la stavo aspettando sull'altare iniziai a temere che se la fosse data a gambe, e invece la trovai che faceva avanti e indietro nel piccolo spazio e borbottava qualcosa tra sé e sé mentre guardava il palmo della sua mano completamente ricoperto di scritte: «... e con questo giuro di amarti, onorarti, ... scoparti no?!» sbottò esasperata mentre io la guardavo allibito. Si girò verso di me e mi guardò quasi disperata: «Dopo voglio prendere Camille e ficcarle su per il culo il bouquet, giuro! Chi diavolo direbbe scemenze del genere ad un matrimonio!?» aggiunse esasperata! Scoppiai a ridere in una fragorosa risata e la attirai a me per cercare di tranquillizzarla. Insomma, avrebbe potuto intuire che la nostra amica è una scrittrice e che la promessa di matrimonio era meglio se l'avesse scritta lei, ma Camille aveva insistito così tanto... Ma la cosa più divertente è stata quando si è messa a leggere spudoratamente la promessa dal palmo della mano di fronte al prete!

Ridacchio piano e sfioro la cornice. Siamo stati gli ultimi della nostra compagnia a sposarci: i primi furono Evan e Camille e solo cinque anni fa hanno avuto una bambina; successivamente fu il turno di Kayla e Mike seguiti a ruota libera da Noha e Nick. Diciamo che Sam ha preferito attendere nonostante le circostanze.

Alzo lo sguardo appena in tempo per vedere dalla porta aperta dello studio un dinosauro sfrecciare al volo e due bambini che lo seguono con altrettanta felicità. Sorrido felice e guardo nuovamente la foto del nostro matrimonio: Sam indossava un vestito avorio abbastanza corto, con un piccolo e sottile cinturino di pietre e un velo altrettanto corto incastrato con una coroncina sui capelli corti e sbarazzini: se li tagliò il giorno dopo la laurea rivendicando così il premio della nostra ormai lontana scommessa e ammetto che non mi dispiace affatto che abbia vinto lei! Io, invece, indossavo un normale e semplice smoking, ma il pezzo forte del nostro matrimonio lo tenevo in braccio. Mentre Sam mi cingeva il collo con le mani, io la baciavo sorridendo e tenevo in braccio un piccolo bambino di due anni dai capelli neri come la pece e gli occhi celesti.

Il nostro Max.

Quando Sam si accorse di essere incinta diede di matto sostenendo che non era affatto in grado di fare la madre: «Porca troia, sei seria Sam?!» le chiesi sbalordito mentre lei mi tirava un cuscino addosso!

«Non dire parolacce brutto idiota! Questi cosini sentono tutto!» mi urlò addosso. E per nove mesi di fila lei continuò a chiamare Max "La cosina" e a vietare in casa nostra ogni genere di parolaccia. Quando nacque non sapevo chi sarebbe svenuto per primo, se io o lei; ma alla fine ce la siamo cavata... Con i nostri intoppi, litigi e scleri, ma ce l'abbiamo fatta.

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