Decisioni e arrivederci

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Non aveva mai passato di certo un Natale normale lui. Sapeva cosa fosse l'aria festosa, allegra e calda del Natale. Ovvio che lo sapeva. Ma a casa sua non era mai stato così. Ad Hogwarts, quando il professor Vitious si ostinava ad addobbare l'intero castello per Natale, i suoi compagni e tutti gli studenti erano sempre elettrizzati. Si parlava di regali, di feste, di cene con genitori, parenti ed amici. Si parlava di viaggi ed appuntamenti romantici. Lui riceveva sempre il suo regalo, il più costoso di tutti se possibile, cenava nel grande e lungo tavolo di marmo nero, del salone di Malfoy Manor, in vigoroso silenzio. Poi alla fine del pasto, dove suo padre si lamentava con gli elfi che il cibo fosse troppo cotto, crudo, dolce, salato, insipido o caldo o troppo freddo, calciandoli probabilmente o lanciandogli il piatto in testa, andava in camera sua. Certo non senza aver baciato sua madre sulla guancia ed auguratole un buon Natale. Niente parenti, amici, feste, giochi. Non si ricordava un Natale passato davanti a quel dannato camino in marmo nero sempre spento, o di chiacchierare sulla scuola o sul campionato di Quiddich. Ovviamente potevano partecipare a delle feste durante le vacanze ma Draco, passata l'età di bambino infantile, non aveva più voluto partecipare. Si trattava di un mucchio di gente sadica, ricca da far schifo, grassa e saccente, che si riuniva per mangiare robaccia strana e ballare tutti in riga. Anche Theo e Blaise, capita l'antifona, non avevano più preso parte a quelle sceneggiate. Da quel momento avevano cercato di passare almeno la notte di Natale insieme. Non era più possibile dopo... dopo il Marchio. Certo che no. Così come le feste da ballo, erano sparite anche le cene in famiglia. Il Manor pullulava di Mangiamorte, e a nessuno di loro sembrava importare del Natale. Ogni uno di loro aveva un compito, assegnato poco prima che Voldemort scomparisse per un altro dei suoi lunghi e segretissimi viaggi. O non gli importava nulla del Natale o non ne avevano nemmeno il tempo di pensarci.

Si sentiva solo, abbandonato.
Sua madre Narcissa beveva come una spugna e nelle mattine era intrattabile per le forti emicranie. Suo padre Lucius non aveva un attimo di respiro, stava sempre in missione. Lui? Lui certo che era andato in missione. Aveva torturato, posseduto e purtroppo aveva visto uccidere della gente. No, non aveva ancora dovuto uccidere nessuno. Ma nei suoi incubi peggiori sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto farlo. Prima o poi, si sarebbe dovuto sporcare le mani di sangue. E se solo le grida lancinanti e supplichevoli di morte, lo facevano svegliare la notte ed urlare di terrore, chissà cosa gli avrebbe causato dentro uccidere qualcuno.
Si sentiva solo, abbandonato.
Solo una notte non si era sentito solo. Solo tra le sue braccia, vicino a quei capelli vaporosi e rossi non si era sentito abbandonato. Nel respirare l'odore di gelsomino, nell'assaporare la sua pelle lentigginosa e candida non si era sentito solo. Solo per quella notte, perso nei suoi dolci, grandi e profondi occhi ambra non si era sentito un reietto, un uomo malvagio. Perché lui lo era. Lui si sentiva un uomo malvagio. I suoi coetanei dovevano pensare a quale colore dovesse essere la carta regalo, mentre lui a quale uomo doveva essere persuaso ad unirsi alla causa del Signore Oscuro. E torturarlo, si torturarlo fin quando non veniva "persuaso". Odiava le sue mani, odiava il suo riflesso allo specchio. Odiava il suo braccio, quel maledetto marchio e come lei lo guardava con disprezzo.
Ma non si era sentito solo quando gli aveva baciato la pelle imbrattata da quell'orribile, orripilante e ripugnante tatuaggio.
Le mancava. Le mancava maledettamente. Ma cosa avrebbe dovuto fare. Si sarebbe dovuto piegare e supplicarla di amarlo?! Perché lui la amava? No. Non poteva perché lui era un Malfoy. Quando mai loro sapevano stare accanto a qualcuno, rispettarlo e non denigrarlo. Loro si sentivano sempre superiori, migliori. Non avevano bisogno dell'amore. Loro contavano l'uno sull'altro e sulle loro ricchezze. Ma allora perché sembrava che lo avesse cruciato quando aveva detto di essere confusa. Lei amava Harry? Il solo pensiero faceva in modo che le viscere gli si attorcigliassero e gli salivano i conati di vomito.

E si sentiva solo.

Certo... il bravo, puro, coraggioso, umile, dolce e perfetto Harry Potter di sicuro non torturava la gente... di certo non la possedeva e di sicuro non la uccideva. No, Harry Potter valeva cento volte lui. Lei glielo aveva detto. Allora perché avevano fatto sesso? Si, perché sesso doveva essere stato... se lui non amava e se lei voleva ancora Harry, solo di questo poteva essersi trattato. Solo. Ma allora perché ci stava a pensare? Perché dentro alla gelateria Fortebraccio si era così arrabbiato? Perché c'era rimasto male come se lo avesse pugnalato alle spalle?
Disteso sul letto a baldacchino, della sua camera ornata dai colori verde argento della sua casa, fissava il soffitto, mentre il Marchio, chissà per quale dannato motivo, bruciava e lasciava sanguinare leggermente i lembi di pelle. Sua madre gli aveva confidato, in un momento di sobrietà, che poteva capitare quando il Signore Oscuro era arrabbiato, in collera o preoccupato. Ma a lui che diavolo importava se il Signore Oscuro era in collera? A lui importava del dolore che lancinante, pulsava sul suo braccio. Stringeva le lenzuola quando diveniva insopportabile. In quei momenti ricordava Ginevra... che con le mani piccole e morbide si aggrappava alle lenzuola mentre gemeva di dolore e piacere. Lo eccitava ricordare quella notte, quei momenti, ma allo stesso tempo lo facevano star male. E lui non capiva perché diavolo il ricordo di una ragazza lo facesse stare male. Si era bella, intelligente, scaltra. Ma anche avventata, testa calda e cocciuta. E poi lui le ragazze se le portava a letto e gli spezzava il cuore. Perché con lei doveva essere diverso? Perché sentiva che con lei era diverso?

La ragazza dagli occhi ambra ~ DrinnyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora