Chapter 3.

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Dal capitolo precedente...

Mi asciugai le lacrime, anche se continuavano a scendere senza cessare. La testa mi scoppiava ripensando a com'era mio padre prima di perdere la testa.

Era tutto così diverso.
Così fottutamente diverso.

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Mi girai sul divano molte volte, fino alla nausea, eppure, come sempre d'altronde, sembra impossibile dormire.
Mi alzai, dirigendomi verso il bagno.
Le gambe una volta lì quasi ceddero, e il dolore di uno dei lividi che avevo sulle gambe era sempre più forte.

Notai, abbassando il leggins nero fino a quasi il ginocchio, che il livido era più viola di qualche giorno fa.
Chiusi gli occhi cercando di non perdere il controllo, non volevo avere un attacco di ansia, o di pianto. Anche se sapevo che un giorno o l'altro avrei ceduto.
Sembrava sempre più difficile affrontare la vita, ogni giorno avevo mille guerre da combattere, e non sapevo quante volte avrei ancora vinto. Sicuramente poche.

Mi appoggiai al lavandino per guardami allo specchio.
Avevo gli occhi gonfi e i capelli castani chiaro spettinati nello chignon. A quella vista non potei fare a meno di fare un verso, quella non era la vera me. Io ero diversa, e continuavo a ripetermelo. Delle lacrime cominciarono a rigarmi le guance. Eppure più piangevo e più mi davo della stupida, ero una stupida. Chi mai avrebbe voluto avere una figlia, o anche solo un'amica, come me?
Ero inutile, inutile e in mezzo ai piedi. Forse dovevo morire io, avrei fatto piacere a tutti, partendo da Harry.

Mi sforzai a smettere di guardarmi allo specchio, e ad andare in cucina a bere un bicchier d'acqua. Le gambe non reggevano più il mio corpo. Mi sentivo cadere dalla stanchezza.

Anche solo spostare la bottiglia per versarne il contenuto nel bicchiere mi sembrava impossibile.
La testa cominciava a pulsare mentre mi asciugavo le ultime lacrime sulle guance, non ne potevo più. Mi sentivo così male, che avevo solo voglia di avere qualcuno con cui parlare, sfogarmi. E invece mi ritrovavo in una casa con un ragazzo di cui conoscevo solo il nome. Non sapevo chi fosse o da dove venisse. Sapevo solo che avevo paura di lui, o più che tutto che mi intimoriva.

Mi venne in mente di prendere un'aspirina. Forse con quella avrei potuto dormire un po'.

Cominciai ad aprire dei cassetti, un dopo l'altro. C'era di tutto, così maledettamente in ordine, ma non una sola aspirina. Sbuffai più volte sentendo la testa esplodere, non ne potevo più. Non sapevo più quali cassetti avevo aperto e quali no.

Sentii la porta aprirsi di scatto, cosa che mi fece gelare il sangue. Entró quel ragazzo, con i capelli leggermente lunghi e ricci. Pure dopo un paio di ore di sonno era bellissimo. Eppure sembrava arrabbiato, e non poco. Aveva la mascella contratta e una delle due mani chiuse in un pugno.
Solo quei due particolari mi fecero rabbrividire ed indietreggiare fino a toccare il tavolo con la schiena.

" che diavolo stai facendo?!" Mi urlo contro.
Mi sentivo più piccola di quello che già ero. Non solo mi spaventava il suo modo di fare, ma avevo paura di crollare, mi tenevo al tavolo per non cadere e tremavo cercando di nascondere la voglia di piangere.

" c-cercavo un-na aspirina " non riuscivo neanche a guardarlo negli occhi mentre dicevo quella frase. Sicuramente mi stava dando della codarda, e aveva ragione. Si, aveva assolutamente ragione.

Sbuffó, passandomi affianco e sbattendo la sua spalla contro la mia. Barcollai leggermente appoggiandomi ancora più al tavolo per non cadere a terra.

Aprì un cassetto e lo scrutó per qualche secondo, sembrava davvero preso nel cercare. Aveva la bocca schiusa e gli occhi verde smeraldo che fissavano quel cassetto pieno di medicine.
Finì col prendere una scatolina, proprio quella dell'aspirina.

Don't be afraid. || h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora