morte istantanea

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Era una pallida mattinata di una domenica d’Ottobre di tanti anni fa, e casa mia era vuota, quando avevo deciso di andare a curiosare nella soffitta. Speravo di trovare qualcosa per realizzare il mio costume per la festa di Halloween, di quella sera. Perciò, non avevo molto tempo per trovare un costume. I miei genitori si erano rifiutati di sprecare denaro in inutili costumi, che a parer di mia madre, avrei indossato solo una volta l’anno e poi sarebbero stati da buttare.

Tutte le volte, rispondevo a mia madre così: «Tu non mi capisci! Halloween è una festa importante!». E lei, mi liquidava dicendo che avrei dovuto impegnarmi di più con la scuola, piuttosto che pensare solo alle feste.

Ma si sbagliava. Per me non esistevano le altre feste, per me c’era solo Halloween.

Tornando a quella mattina, ricordo che d’un certo punto si era anche messo a piovere. La nostra era una polverosa soffitta, piena di scatoloni e cianfrusaglie di vario genere, stipate in grossi scatoloni di cartone. A dir il vero, non avevo neanche la più pallida idea di cosa avrei potuto trovare lì dentro. A quel tempo, per la ragazzina di dodici anni che ero, potevano sembrare scrigni pieni di tesori e magari, con un po’ di fortuna, pensavo di trovare anche qualcosa per il mio costume.

In quel momento, la pioggia stava martellando sul tetto e si poteva udire in lontananza il rimbombo di qualche fulmine. Avevo cominciato ad aprire gli scatoloni più vecchi, quelli che si trovavano in fondo alla stanza, siglati con una scritta di pennarello nero: “1955 – 60”.

Dentro avevo trovato un vecchio giradischi e diversi dischi di vinile, le cui copertine, ora schiarite dal tempo, recitavano le scritte più bizzarre. A quell’ epoca, per me, la musica era ancora un tema sconosciuto e inesplorato. Quella roba doveva appartenere a mio padre. In fondo, era lui il musicista di casa e sapeva suonare il pianoforte e la chitarra. Tuttavia, non aveva mai tempo di insegnarmi. Avevo richiuso lo scatolone e avevo cominciato ad aprire quello dietro, su cui era riportata la scritta “1960 – 70”, quando, qualcosa aveva catturato la mia attenzione.

C’era una scatola, che a differenza di tutte le altre, non sembrava avere sigle ed era sigillata con del nastro da pacchi marrone. «Che cosa ci sarà lì dentro?» mi ero chiesta. La scatola, avevo notato in quel momento, era più piccola delle altre e anche più polverosa. Gli angoli erano stati rosicchiati dai topi, ma a parte questo, sembrava ancora intatta.

Quel che mi interessava, era il suo interno.

Avevo provato ad aprirla, iniziando a rimuovere il nastro da pacchi, quando per un breve attimo, mi era sembrato di sentire un debole sussurro. Mi ero fermata e mi ero guardata intorno, con i peli sulla nuca che si erano drizzati per i brividi. Silenzio.

Potevo udire il suono della pioggia che tamburellava sul tetto e il mio respiro lento e regolare. No, non sentivo più i sussurri, probabilmente, dovevo essermeli immaginati.

Finalmente, ero riuscita a rompere il nastro da pacchi e ad aprire la scatola, rimanendo sorpresa di quello che vi avevo trovato al suo interno. C’era una vecchia macchina fotografica, immersa tra fiocchi di polistirolo. Era pesante e aveva l’aria di appartenere a un’ altra epoca. Era tutta laccata con una vernice nera e la grossa lente blu dell’ obiettivo, era così lucida che rifletteva la mia immagine.

Ero rimasta ad esaminarla per diversi minuti, girandomela in mano e osservando con curiosità i suoi dettagli. Era quella che sembrava essere una rara macchina fotografica istantanea. Sapevo che era così, perché in un telefilm che guardava mia madre ne avevo vista una simile.

«Dovrebbe esserci un pulsante da qualche parte… basta un click e la foto è fatta!» pensavo a voce alta, mentre cercavo il pulsante. «Eccolo!» lo avevo trovato. Dovevo accertarmi se funzionava ancora, così mi era venuto in mente di provare a scattarmi una foto istantanea, quando l’arrivo di Chopin mi aveva fermato dall’intento.

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