Sangue e biscotti

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Era lì, immobile, davanti a quella grande casa di mattoni rossi. Si chiedeva se fosse stato il caso, d’altronde non credeva a quelle cose, ma i fatti, avvenuti negli ultimi anni, lo avevano profondamente cambiato, e poi tutti nel paesino parlavano bene di Adriana.

“Perché no!” si disse e si diresse verso la porta, facendosi coraggio. Bussò e immediatamente gli aprì una sorridente signora, piuttosto giovanile per i suoi 59 anni. L’unica cosa che riuscì a dirle fu: “Sono qui per conoscere il mio futuro”.

La signora lo accolse e lo fece sedere nella sala centrale, dinnanzi ad un grande tavolo di legno. La casa era piuttosto grande per una persona sola, decorata con sgargianti colori e profumata da un delicato odore di salvia. La stanza nella quale si trovavano era illuminata da ampie finestre e scaldata dal tepore del camino.

“Mi chiamo Alberto” disse, imbarazzato per non essersi presentato prima. Adriana ricambiò il gesto e sorridendo gli porse un vassoio di biscotti appena sfornati. Avevano un aspetto squisito e lui ne prese più di uno, erano buonissimi.

La donna cominciò a leggere i tarocchi e a predirgli il futuro. Solo allora lui si rese conto di quanto tutto ciò gli sembrasse inutile e si vergognò di essere venuto. Dopo qualche minuto chiese di andare in bagno e Adriana gli indicò una stanza alla fine del corridoio. Prima di entrare nel bagno scorse uno sgabuzzino e, grazie alla porta socchiusa, intravide una botola goffamente nascosta da un piccolo tappeto.

Non seppe resistere alla curiosità e, assicurandosi di non essere visto, entrò nello sgabuzzino. Non prestò alcuna attenzione all’arredamento, guardò quell’apertura che scendeva nel buio. Senza nemmeno accorgersene si ritrovò a scendere la scala a pioli. La nuova stanza era buia, illuminata solo da qualche piccola finestra posta molto in alto, vista la profondità a cui si trovava. Un forte odore lo colpì, un odore che non seppe decifrare.

Cercò la luce a tentoni, l’accese e con stupore si trovò davanti ad una grande sala simile ad un laboratorio. C’erano pentoloni appesi al soffitto e diverse fiale riposte con cura sugli armadi che incorniciavano la sala. Al centro c’era un grande tavolo in ceramica, su cui era posato un biglietto che Alberto prese senza leggere mettendoselo in tasca. La curiosità lo spinse ad entrare in una seconda stanza, che prima, distratto, non aveva visto.

Qui l’odore si fece più intenso, quasi insopportabile. Accese la luce e ciò che vide fu tanto orribile da costringerlo a fermarsi per non perdere l’equilibrio. Era in una piccola stanza, con al centro una sedia che sorreggeva quello che un tempo era un uomo. Il corpo, legato col volto straziato dai tagli e gli arti fatti a pezzi, era privo di sangue, il quale era confluito in un pentolone come quelli appesi al soffitto. Mise la sua mano nella tasca, prese il biglietto e lo lesse. Era la ricetta dei biscotti: “Farina, uova, sangue,…”. Alberto vacillò e cadde a terra svenuto.

Riprese i sensi lentamente e, quando aprì gli occhi, scoprì l’orrore più grande che avesse mai vissuto. Era legato alla sedia, immobile. Davanti a lui c’era Adriana che sorrideva. Nella mano destra impugnava un coltello. L’ultima cosa che lui vide fu il suo sorriso e i suoi occhi intrisi di sangue.

Lei rideva. Rideva e tagliava, rideva e dilaniava: tutto quel sangue non era altro che un ingrediente per i suoi deliziosi biscotti.

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