Ghost Sleep (Jeff the killer)

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“Mi dispiace averla trascinata di nuovo in questa storia.” disse il direttore del carcere.

“Sarei comunque venuto qui domani per il suo trasferimento.” rispose l'altro uomo.

“Già... l'esecuzione, sa, ci abbiamo provato in tutti i modi a convincerli ad annullarla, ma non c'è stato niente da fare, purtroppo ha commesso omicidi anche laddove è in vigore la pena di morte e, siamo costretti a consegnarlo a chi di dovere.” spiegò il direttore.

“Sembra quasi che lei sia dispiaciuto di questo.” rispose sorpreso l'altro uomo.

“Lo sono, ma per un motivo. Per lo stesso motivo per cui l'ho fatta venire fin qui.” si preparò a raccontare il direttore.

I due uomini erano seduti al di là della stanza per le interrogazioni, dalla parte opposta dello specchio a due vie. Il secondo uomo fissava la stanza attraverso il falso specchio, era completamente bianca con solo un tavolo e due sedie, priva di qualcuno al suo interno, ma sapeva che ben presto avrebbe dovuto sedersi in una di quelle sedie.

“È qui da due settimane, pensavamo addirittura che non mangiasse nulla, nessuno l'ha mai visto farlo, ma i piatti li ritrovavamo vuoti e il cibo al loro interno non era più in alcun modo nella sua cella. Non ha mai dormito, nemmeno per un secondo, non ha causato problemi a nessuno e non ha mai tentato in nessun modo di fuggire. Non parla e non risponde, se non fosse per il suo aspetto che non passa di certo inosservato, potremmo dire che è un completo fantasma qui dentro.” raccontò il direttore.

“Quindi non ha mai detto una parola? Non sapete ancora come ha architettato quella messinscena in quel cimitero?” chiese l'altro uomo.

“Sì e no. Non abbiamo scoperto nulla. Ma qualcosa alla fine l'ha detta, solo poche e semplici parole.” gli rispose il direttore.

“E cos'ha detto?” chiese l'uomo.

“Il suo nome, detective. Lui vuole parlare solo con lei.” rivelò infine.

Il detective si ricordò di quella notte, ricordò il crepitio della bara che scricchiolava e il volto di Jeff che si illuminava sotto quei fulmini minacciosi. Lui era lì che lo fissava, mentre gli puntava contro la sua pistola. Provò a spingere il grilletto ma il fango era penetrato fino in fondo alla canna, non ci fu alcun sparo. Jeff non rimase lì a fissarlo a lungo, e ben presto si lanciò contro l'agente armato di un pezzo di legno appuntito. Il dolore fu atroce, quel legno malridotto che gli penetrava la spalla fu peggio di una lama arrugginita, le numerose schegge di quel “paletto” penetravano nella sua carne mentre erano accompagnate dalle agghiaccianti risate del suo avversario che si stava godendo ogni singolo momento.

Nonostante tutto, sentiva ancora la pioggia cadere pesante su di lui, mentre il killer fantasma si parava sopra di lui immobilizzando l'agente con il suo sguardo demoniaco. Ancora una volta il detective fissò quel viso che lo tormentava da dieci anni, quegli occhi bruciati e quel sorriso inciso gli avevano rovinato la vita. Gli occhi di Jeff sembrarono uscire dalle sue orbite mentre le sue pupille si rimpicciolivano, in un impeto selvaggio di pura crudeltà, Jeff afferrò il collo dell'agente per permettergli meglio di fissare il suo viso, prese con furia il pezzo di legno staccandolo di colpo dalla spalla dell'agente, e con un'ulteriore forza innaturale, conficcò di netto il paletto nella guancia sana del malcapitato.

Gli completò il sorriso.

“Oh capisco, quindi ora lei sorride al mio viso... finalmente.” quelle fredde parole pronunciate dal killer rimasero incise nella mente del detective come se fossero state marchiate a fuoco nel suo cervello.

Si trattò di fortuna quando la pistola non sparò? Si trattò di fortuna anche quando la lanterna che sembrava ormai morta, si riaccese in quel preciso momento distraendo il killer? E si trattò sempre di fortuna che quella debole luce illuminò la pala che aveva usato il detective per disseppellire quel mostro? Non fortuna, ma destino. Nessuno di loro due era destinato a morire quella notte.

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