CAPITOLO 3

753 64 3
                                    

Uscii da quella stanza osservandomi intorno.

I muri gialli da classica casa di campagna, mobili in legno antico e vetri sporchi per l'usura degli anni.

Strinsi la mano di Adrian e guardai fuori dalla finestra, affacciandomi e facendomi illuminare dalla luce del sole.

Fuori vedevo solo alberi e verde. Nessun altro colore a parte quelli della natura.

Eravamo nel bel mezzo del nulla.

L'indice sfiorò un raggio di luce ed ebbi un fremito di piacere. Era da ben due settimane che non toccavo il sole, che non sentivo il calore sulla pelle.

Sorrisi e continuai, scendendo le scale.

C'erano altre porte su quel piano.

"Ci sono molte stanze", sussurrai osservando le porte in legno.

Annuì.

"Sì, questa casa risale ad un vecchio monastero del 1900. Naturalmente, qualche anno fa è stato ristrutturato", mi spiegò brevemente.

Vivere in una casa in cui erano morte delle persone mi metteva i brividi; ma nulla mi faceva più paura. Ormai, avevo passato tutto ciò che poteva essere definito incredibile.

"Vieni", mi strinse la mano e mi aiutò a scendere i gradini scricchiolanti, "ti porto nel salotto. Ti stanno aspettando tutti"

Sorrisi e continuai a scendere arrivando al piano di sotto.

Lì c'erano ancora altre stanze ed un altra scalinata dai gradini stretti e particolarmente ripidi.

Questa casa sembrava un albergo!

Scendemmo le altre scale e arrivammo in salotto dove mi fermai, incapace di aggiungere altro o di respirare.

Erano tutti lì. Mi guardavano senza saper cosa dire.

Naturalmente, fu Greta la prima a corrermi incontro e ad abbracciarmi con forza.

Non sentivo più la sua presa ferrea ed il mio corpo non sbalzò all'indietro. Anzi, ero rigida e forte.

Mi sentivo come se nulla potesse abbattermi.

Ricambiai la stretta e affondai il viso dentro ai suoi capelli, attirandola a me.

"Mi hai imprestato i tuoi pantaloncini?", le chiesi ridacchiando.

Greta si staccò e mi guardò i vestiti, annuendo.

"Sì, ma non prenderci troppo la mano, adesso. Non capiterà così spesso", rise e si allontanò, facendo spazio a Jason che si avvicinò silenziosamente, abbracciandomi a lungo senza nemmeno dire una parola.

Solamente quando si staccò, mi sorrise.

"Sono contento che tu sia tornata"

Gli sorrisi e ripensai a quella mattina e a come aveva tentato di salvarmi in qualsiasi caso, fallendo.

Era stato Jason a trasformarmi.

"Mi hai trasformata tu", gli sorrisi e lui tornò serio, guardando Adrian di sbieco. Quest'ultimo mi appoggiò la mano sulla spalla, stringendomela appena.

"Sì, anche se non avrei dovuto", sussurrò dispiaciuto.

"È stato un caso, Jason. Sai bene anche tu che non devi incolparti", lo difese Adrian con voce seria e priva di rancore.

Sembrò non calcolarlo e passò nuovamente a me.

"Non sei arrabbiata con me, vero?", domandò ancora, incerto.

VERBENADove le storie prendono vita. Scoprilo ora