8. Agognare

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Il silenzio forzato sembrava soffocarmi dentro il suo fuoristrada. Notai distrattamente che i sedili erano comodi e che il modello doveva essere piuttosto moderno nonostante le ruote sporche di fango e gli sportelli ammaccati. Una lampada era persino rotta. Tutto ciò che faceva parte della vita di Gideon era in contrasto con la vita a Seattle di ogni altra persona; il suo muso lungo, gli occhi color del cielo, l'aria minacciosa di certi cowboy del Texas, il fuoristrada. Per le strade della grande città circolavano principalmente Peugeot o macchine aziendali, i colori spaziavano dal grigio al nero. Mi sentivo inadeguata dentro quell'enorme trasformer rosso.

«La radio funziona?» chiesi, interrompendo per la prima volta il silenzio.

Gideon lanciò un'occhiata allo spazio arrugginito sul cruscotto dove non si distinguevano i pulsanti dal metallo di decoro.

«No» rispose.

L'auto odorava di sabbia e di terriccio e non c'era alcun profumo attaccato allo specchietto. Non sapeva di cattivo ma dava l'idea di essere un mezzo per trasporti commerciali, un'auto da lavoro pratico, tra le montagne o le campagne. Non riuscivo a immaginare un posto a Seattle che fosse compatibile con quella descrizione.

«Spero di non averti offeso, prima» disse Gideon.

Mi girai nella sua direzione, osservai le sue braccia tese e i gomiti leggermente piegati mentre guidava. Il volto era fisso sulla strada, la sua espressione indecifrabile.

«A cosa ti riferisci?»

«Alla questione delle amicizie.»

Fui sorpresa che non tentasse nemmeno di fingere che non fosse accaduto. Fingendo di non sapere di cosa stesse parlando gli avevo offerto l'opportunità di lasciare l'accaduto alle spalle invece lui aveva insistito. O era uno sciocco, oppure era esasperatamente onesto.

«Non mi hai offeso» decretai con solennità.

«La tua faccia da quando siamo entrati in macchina dice qualcos'altro.»

«Che cosa dice la mia faccia?»

Mi conosceva da pochissimo tempo, solo Addy e Mason erano in grado tradurre i miei pensieri e le mie espressioni perché mi conoscevano da anni. Mi venne in mente quella volta di un anno prima, quando giocammo a "Indovina cosa penso". Addy azzeccò tutti i miei pensieri.

«La tua faccia dice che non hai apprezzato il mio commento.»

Un punto per lui, evidentemente quella mia imminente espressione era facilmente leggibile. Non mi sentivo imbronciata e avevo fatto di tutto per non offendermi, davvero, e sebbene sapessi che non mi stava giudicando con quel suo commento avevo percepito una fitta di angoscia.

«Hai ragione, non l'ho apprezzato.» risposi con disarmante sincerità. Mi chiesi se Gideon si sentisse così libero ogni volta che diceva la verità, ovvero sempre. Era una sensazione bella, sentirsi togliere da dentro il peso dell'amarezza che accumuli con il tempo.

«Quindi ti sei offesa.»

«Non mi sono offesa.»

Ammetterlo mi fece capire che era vero, non ero offesa. Mi sentivo umiliata, perché Gideon senza essersene accorto aveva palesato la situazione. La situazione mi feriva. Addy voleva assicurarsi che io stessi bene, lo sapevo, ma mi faceva sentire un'inetta ogni volta che le parlavo al telefono. Mi tartassava di domande su quanta gente avessi conosciuto, su quanta volessi conoscere, mi dava consigli su come parlare ai ragazzi e alle ragazze dei miei corsi, mi suggeriva le battute per eventuali scambi sociali. Tutto questo mi gridava a gran voce che non aveva fiducia nelle mie capacità. E se lei non credeva in me, io non credevo in me stessa. Questo era deprimente. Gideon aveva fatto l'errore di dirlo ad alta voce e sbattermelo in faccia. Scossi la testa, in preda a pensieri troppo uggiosi.

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora