15. Dentro il gioco

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Mia madre era davanti alla porta della mia camera. Dietro di lei, l'ombra di mio padre che guardava con un sopracciglio alzato ogni ragazza che passava nel corridoio.

«Allora, non ci fai entrare?»

«Oh, sì, certo. Entrate pure.»

Mi scostai e lasciai che osservassero ogni piccolo dettaglio con sguardi acuti e occhi pronti. Poco dopo mi avrebbero rinfacciato ogni piccolo errore, me lo sentivo.

«Allora, che cosa ci fate qui?»

La mamma si avvicinò al letto e lanciò un'occhiata alla cornice che ritraeva noi tre su un campo da golf; la foto risaliva a qualche anno prima, quando ogni estate mi portavano al campo estivo del loro club.

«Stiamo andando a pranzo dai Cavendish, abitano qui vicino. Tuo padre ha pensato di venire e farti un saluto.»

Gli sorrisi, anche se mi stava dando le spalle. Era alla finestra.

«È molto carino da parte vostra. Però tra poco devo andare a lezione.»

Gli occhi di mia madre s'illuminarono.

«Sì, certo, immaginavamo. Ho pensato che potremmo accompagnarti.»

Aspettai qualche secondo prima di rispondere.

«Ehm... Va bene, non c'è alcun problema.»

Pensai a come sarebbe stato camminare tra i corridoi dell'università con i miei genitori al fianco, come se mi stessero accompagnando dal dottore. Mi sarei sicuramente sentita in imbarazzo ma non potevo certo farlo presente.

Ringraziai chiunque mi stesse ascoltando per aver fatto uscire Dakota prima così non ero stata costretta a fare le conoscenze. In qualche modo ero sicura che i miei genitori avrebbero notato una scintilla ribelle negli occhi chiari della mia amica e avrebbero disapprovato. Addy non era mai stata nelle loro grazie e preferivo che Dakota nelle loro menti rimanesse uno stereotipo come me piuttosto che sottostare ad altre critiche. Finsi di dover uscire per andare a lezione prima per non sopportare i continui sguardi sprezzanti che lanciavano a destra e a manca tra le pareti della camera. Come previsto, si misero ognuno a un mio fianco. La mamma mi prese a braccetto.

«Quanto dista l'edificio?» chiese mio padre, una volta usciti tutti e tre per strada.

«Non molto, è vicino il quartiere delle confraternite.»

Mia madre alzò gli occhi al cielo. «Ancora esistono? Pensavo che dopo tanto tempo quest'assurda tradizione si fosse estinta.»

«Ancora esistono, cara» rispose papà, guardandosi attorno. Aveva alzato gli occhiali scuri sul capo e qualche ciocca brizzolata fuoriusciva dalle asticelle e gli scherniva le tempie.

«Pensiamo di voler parlare con i tuoi insegnanti» riprese mia madre, facendomi subito irrigidire.

«Non mi sembra una buona idea. Voglio dire, non è necessario.»

I suoi occhi severi si prepararono a un'ammonizione.

«Riteniamo che sia necessario, al contrario. Vogliamo essere certi che vada tutto bene.»

«Perché non dovrebbe andare bene? V'informo di tutti i miei progressi giornalmente.»

Era vero, sottostavo a un piccolo interrogatorio ogni giorno via email e passavo più tempo al telefono con loro che con Addy. Mi costringevo a pensare che fosse per attaccamento genitoriale nei confronti di un'unica figlia ma nel profondo di me stessa conoscevo la verità.

Arrivammo presto davanti all'edificio di scienze umane e mi fermai prima che potessero mettere piede all'interno.

«Vi prego, fidatevi di me, sta andando tuto bene. Non c'è bisogno di verificare parlando con i miei insegnanti. Siamo tanti in aula, se dovessero dare ascolto a ogni genitore che non si fida del proprio figlio non riuscirebbero mai a fare lezione.»

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora