21. Basta pressioni, basta pretese

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Non vedevo l'ora di fare i conti con Gideon, non vedevo l'ora di riappacificarmi con lui e chiarire ogni cosa. Non vedevo l'ora di baciarlo di nuovo, di lasciarmi accompagnare alle lezioni con le sue mani nelle mie, di parlargli durante il pranzo. Una volta aver fatto la pace, gli avrei chiesto di portarmi in città più spesso e avremmo passeggiato insieme.

Invece, con i miei genitori non volevo ancora discutere. Non avevo voglia di starli a sentire sui loro giudizi, su cosa pensassero fosse giusto o sbagliato. Sapevo che mio padre avrebbe presto rivelato tutto alla mamma e che avrebbero colto la prima occasione per mettermi in riga.

Per questo decisi di non tornare a casa per quel weekend. Inviai a entrambi un messaggio giustificandomi con il troppo studio. Non risposero né chiamarono e a me bastò quello. Forse si sarebbero arrabbiati ancora di più la volta che li avrei rivisti ma almeno avrei avuto il tempo per schiarirmi le idee in testa e trovare il coraggio per affrontare ogni conseguenza del mio silenzio. Sebbene Gideon non ci credesse, loro non erano pronti a digerire questa nuova e scintillante relazione. Stavo faticando persino io a digerirla, stavo imparando le basi di un normale rapporto, e non avevo né il tempo né la voglia di stare appresso ai loro disagi.

Ho sempre considerato i miei genitori il mio faro, costruttori della mia educazione; lo penso ancora, ma Gideon ritraeva l'eccezione della mia vita. In tutti i sensi possibili e immaginabili, Gideon andava contro corrente. Su di lui, non avrei accettato discorsi. Su di lui, non avrei accettato giudizi. E solo io potevo sapere quanto mia madre avrebbe avuto da ridire su un ragazzo così, seppure non lo avesse nemmeno conosciuto.

Inviai un messaggio a Gideon prima di entrare a lezione e lessi la risposta un'ora dopo, mentre camminavo per i corridoi.

Stacco dal cantiere alle quattro. Vengo io.

Ovviamente non lo vidi a pranzo e chiusa nella mia camera non potei che immaginare come ci saremmo chiariti, cosa gli avrei detto per scusarmi. Avrei cominciato con la storia della cornice, ammettendo che la mia troppa curiosità era stata dannosa e che dovevo rispettare la sua privacy. Gli avrei anche assicurato del tempo, per trovare la sicurezza di parlarmi di qualunque cosa lo tormentasse. Ormai ne ero certa, il passato di Gideon era una cicatrice ancora non ricucita che, se sfiorata, bruciava fatalmente. Dakota era scomparsa assieme a Connor dopo pranzo, si erano rifugiati nel campo da football e mi assicurarono che sarebbero rientrati prima di cena.

Sobbalzai quando dal mio computer si sentì un Biiip. Aprii la casella delle email e mi presi il viso tra le mani, sperando che non si trattasse di pubblicità o peggio, uno dei miei genitori.

L'oggetto era: Lily Prescott. Il testo diceva soltanto: Mi confermi di essere Lily Prescott, figlia di Anne e David Prescott?

Non conoscevo il mittente, l'indirizzo era completamente fuori dalla mia portata.

Quando la porta tremò sotto un paio di colpi sicuri, mi alzai dalla sedia come una saetta e chiusi il portatile dimenticando goni cosa. Andai ad aprire a Gideon.

Gli sorrisi e poi feci calare lo sguardo sul suo corpo. Sulle braccia era sparso un velo sottile di polvere bianca, la tuta chiara e arancione gli fasciava le gambe e si ripiegava sul busto, la maglietta nera gli deriva agli addominali. Sulle spalle aveva un borsone e le guance erano sporche di quella stessa polverina.

Lo feci entrare e lui si grattò i capelli, facendo cadere un po' di polvere sul pavimento.

«Posso usare la doccia?» fu la prima cosa che chiese, mentre chiudevo la porta dietro di lui. Indicai la porta del bagno con la mano e lui si fiondò dentro, lasciando accostato.

Non sembrava turbato o arrabbiato, solo stanco del lavoro e voglioso di una rinfrescata. Misi a posto il letto togliendo un paio di magliette sparse qua e là e chiusi tutti i libri sulla scrivania. Lo aspettai con le gambe incrociate accanto al muro.

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora