37. Vedere le stelle

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Le scale cigolavano gradino dopo gradino, ogni passo si portava dietro la paura che Gideon non mi volesse vedere. Lo avevo cercato per tutta la casa, curiosando in tutte le stanze, e solo dopo un buon quarto d'ora avevo capito che si era rifugiato in quella degli ospiti, dove avevo dormito la notte prima. La porta era socchiusa e non filtrava la luce dal piccolo spiraglio. La aprii esitante, come la prima volta che entrai nella camera di Gideon, a casa sua. Allora avevo trovato una cornice rotta ad aspettarmi e una valanga di ricordi che, a pensarci, mi avevano portato in quel preciso posto. Gideon era seduto sul fondo del letto, i gomiti infossati dentro le ginocchia e la faccia rivolta verso il soffitto scuro, il pomo d'Adamo sporgente che si alzava e si abbassava a ritmo del suo respiro. Si stava calmando ma serviva ancora qualche minuto perché tornasse completamente lucido. Chiusi la porta alle mie spalle il più silenziosamente possibile, non volevo disturbarlo. Non disse nulla sulla prima presenza, si limitò ad accettarmi accanto a lui; così mi appoggiai al legno scricchiolante, esitando. Le sue spalle non erano mai state così cariche di un peso tanto pesante, mai così avvilite, o i suoi occhi così spenti. Loro brillavano sempre, soprattutto nelle stanze più buie. Gideon era un ragazzo, un uomo, tra i più alti che avessi mai visto e sebbene fosse magro i suoi muscoli guizzavano sempre sotto la maglietta, segno che erano allenati, agili e forti. Ma adesso più lo guardavo più mi sembrava un ragazzino esile, perso, che aveva appena scoperto di non essere nessuno. Era solo sul fondo di quel letto spoglio con gli occhi lontani e i pensieri ancora di più.

Mi calarono addosso tutti sentimenti che, inevitabilmente, provavo ancora per lui. Quando lo avevo conosciuto mi era sembrato una persona salda, impostata, che camminava sempre con il mento alto e passava davanti al giudizio della gente senza mai abbassarsi per contrattare. A lui non importava, andava avanti a forza di sigarette che odiava e occhi indagatori. Non aveva paura della verità, non aveva paura di sembrare un idiota o un menefreghista. Non era insensibile, solo che aveva imparato a non sentire nulla, per il suo bene. Mi ero innamorata di quella parte nascosta sotto la scorza che, gentilmente, mi aveva offerto una mano e mi aveva guidato quando avevo barcollato nel buio. Mi ero innamorata ogni volta sempre più quando, con una dolcezza infinita, le sue braccia piene di marchi, segnate da un orrore tremendo, mi avevano circondato per proteggermi.
I miei occhi si riempirono improvvisamente di lacrime. Che cosa ci facevo io lì? Che cosa ci faceva lui, perso e pieno di dolore? Non era giusto che fosse stato costretto a scappare dalla sua famiglia così giovane, abbandonando suo fratello, trasformandosi nella sua stessa ombra. Non era giusto e basta. E io dovevo fare qualcosa.

Così mi avvicinai lentamente, per non spaventarlo. A ogni passo la sua testa si reclinava sempre più nella mia direzione, gli occhi ancora chiusi. A un passo da lui, la sua fronte crollò in avanti, posandosi direttamente sul mio grembo. Circondai le sue spalle con le braccia, la pelle tesa sotto la maglietta era caldissima. Lo sentii irrigidirsi un po', i suoi muscoli tendersi e il respiro mozzarsi. Quando le sue braccia si alzarono per aggrapparsi disperatamente ai miei fianchi fui io a esalare un fiato liberatore. Era un abbraccio triste, sconsolatore, che intrappolava tutti i disastri di cui c'eravamo circondati durante le nostre vite. La sua fronte premuta contro la mia pancia mi fece contrarre i muscoli e abbassare il mento, immergendolo tra i suoi capelli. Li aveva così soffici e odoravano di caramello. Così vi posai una mano, lasciando che le dita s'incastrassero nei nodi, intrappolate dentro catene morbidissime. Era una novità toccare quei fili d'oro ma la sensazione era sempre piacevole, sapeva di ricordo. Non pronunciai il suo nome ma qualcosa nei miei gesti gli fece alzare lo sguardo, posando una guancia sul mio petto.

«Scusa» mormorò, mentre le sue mani si stringevano convulsamente alla mia maglia. Stavo per assicurargli che non aveva niente di cui scusarsi, quel momento stava facendo bene anche a me, quando improvvisamente la sua mano mi arpionò il collo e mi costrinse ad abbassarmi. Le sue labbra si appropriarono delle mie prima che avessi il tempo di capire le sue intenzioni. Mi azzannò, letteralmente, con la bocca aperta e i denti ben in vista, trascinandomi verso il suo petto. La sorpresa mi aveva fatto cedere le gambe ed ero caduta su di lui, aggrappandomi alle spalle. In un groviglio disordinato di gomiti intrecciati e fiati mozzati, Gideon si lasciò cadere sul materasso, stringendomi strettissima a lui. I nostri fianchi sbatterono tra di loro e la mia bocca si aprì per accoglierlo. Avevo già chiuso gli occhi, abituata al nostro contatto, e quando il suo fiato mi finì sulle guance fui invasa dai ricordi, dalla nostalgia... e da tutti i miei sentimenti. Ero debole davanti ai suoi baci, davanti a lui. E poi mi erano mancati moltissimo. La mia testa era un disordine totale, sconvolta da mesi, mai riordinata sul serio da quando l'avevo lasciato. Adesso qualcuno aveva messo in pausa il filmino velocissimo che era diventato la mia vita, regalandomi finalmente un po' di respiro. Assieme a me, bloccato nel tempo, c'era Gideon che mi baciava. Le sue braccia mi stringevano con dolcezza, seguendo la linea del mio corpo come una barca che coraggiosamente solca i mari. E lui era caldo, febbricitante, con il respiro mozzato a ogni mio sussulto. Le nostre labbra danzavano le une sulle altre, senza mai stancarsi, esigenti di recuperare tutto il tempo perso. Fu piacevole la sensazione delle sue mani ovunque su di me, tra i capelli, sul collo e sulle spalle, mentre mi carezzavano la pancia che si contraeva solo per lui, o quando strusciavano sulle cosce. Mi spinse ancora più stretta, costringendo le mie natiche ad adattarsi alla forma dei suoi palmi ma non replicai, sentendo uno strano sfarfallio nel basso ventre. C'eravamo già baciati così altre volte ma non era mai stato tanto frenetico e passionale, dove l'esigenza del corpo veniva prima di quella dello spirito. Adesso mi sentivo affamata di lui e delle sue braccia, volevo che mi stringessero tutta e io volevo avvolgerlo con le mie. Così cominciai il mio viaggio a partire dai suoi tatuaggi che nascondevano cicatrici e brutture. Le carezzai con le dita, disegnando a mia volta passi esitanti che non avevo mai esplorato. La pelle era ancora più calda sotto la maglia dove scoprii che le mie mani volevano assolutamente curiosare. I suoi muscoli si contraevano come i miei, il suo mento sbatteva al mio tanta era la forza con cui volevamo appropriarci della bocca dell'altro. La sua voce usciva in strazianti gemiti che mi provocavano un moto d'eccitazione. E poi la sensazione del suo bacino stretto tra le mie cosce era piacevolmente pressante. Le mani di Gideon, che prima avevano preso coraggio come le mie, si abbassarono sulle cosce nude, scoprendo un lembo del vestito. Non m'importava se me lo tirava su, giù e me lo strappava di dosso. Non m'importava di farmi vedere nuda o no da lui, speravo solo che continuasse e quella sensazione non finisse mai. La mia pelle era tutta elettrizzata, colpita da brividi di paura ed emozione, mentre Gideon si staccava per riprendere fiato e togliersi definitivamente la maglietta dal collo. Non mi concesse un secondo per riflettere e tornò a baciarmi le labbra, stipando in un remoto angolino ogni incertezza che stava per uscire. Mi lasciai andare al suo dolce sapore mentre le due dita stuzzicavano parti di me che nessuno, mai, aveva osato anche solo immaginare. Pensai al colore del mio intimo, che non era abbinato al reggiseno, e improvvisamente sperai che non notasse la mancata combinazione. Questo perché aveva sollevato i lembi del vestito giallo e mi aveva lasciato nuda, proprio davanti a lui. Tremai e gli strinsi i capelli in un pugno, mordendogli distrattamente le labbra per l'improvviso cambio di situazione.

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora