40. Ci vuole amore e coraggio

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Gideon aveva comprato il biglietto nel giro di mezz'ora, pagando di suo pugno; non importava quanto mi fossi opposta, non si era mosso dal suo punto e un'ora dopo la disastrosa chiamata di Connor stavo stringendo convulsamente le mani sul cruscotto dell'auto del signor Markway.

«Chiamami appena atterri.»

«Ok.»

«E chiamami quando arrivi in ospedale.»

Girai la testa verso Gideon, le labbra strette tra i denti. Non la finivo di tremare.

«Andrà tutto bene.»

Non faceva che ripeterlo ma io non ne ero così certa. Eravamo corsi in casa di Henry e avevo rimesso nel borsone quei due panni tolti da quando eravamo arrivati. Non volevo lasciare Gideon ma Connor sembrava disperato ed ero talmente preoccupata per Dakota e le sue doglie in anticipo che non avevo nemmeno tenuto conto di dover attraversare il paese completamente sola. Ebbi l'impressione che Gideon violò tutte le leggi della strada in quanto arrivammo all'aeroporto dopo appena venti minuti esserci messi in macchina, ma non vi badai. Parcheggiò abusivamente davanti a una delle entrate e mi accompagnò dentro. Accanto alla fila, mi consegnò una mazzetta di chiavi.

«Sono del mio appartamento. Se dovesse servirti, usalo come punto d'appoggio. Me le ridai quando vi raggiungo.»

Non ebbi il coraggio di ribattere o chiedere altre informazioni, mi limitai  sospirare e trattenere le lacrime. Quando la sua mano mi carezzò i capelli, non resistetti e mi lasciai andare contro il suo petto. Mi cinse subito con il braccio libero e posò il mento sulla testa, tenendomi stretta. Sprofondai il viso nella sua maglia, inalando il suo odore per farlo entrare in circolo nel mio organismo e calmarmi. Avrei voluto fermare il tempo a quando mi abbracciava per non farmi cadere dal divano, subito dopo aver cenato con una vaschetta di gelato al pistacchio.

«Aspetto con te.»

L'attesa durò due ore e mezzo. Mi andai a rinfrescare nei bagni pubblici ma non ebbi il coraggio di cambiarmi, così salii sull'aereo con il vestito e le infradito. Gideon mi attirò a sé per un ultimo saluto prima di lasciarci e mi stampò un bacio tra i capelli. Promisi che l'avrei chiamato appena avessi potuto.

Appena mi rannicchiai contro i sedili dell'aereo, sentii cadermi addosso tutta la stanchezza emotiva che mi aveva provato in quei giorni. Sentivo scorrere l'elettricità nelle veste, ininterrottamente, e il cervello sembrava sempre attivo. Chiusi gli occhi e mi persi in un buio senza sogni. Quando tornai alla realtà mancava ancora qualche ora. Non riuscii a distrarmi molto e i tutti i messaggi a cui Connor non aveva risposto non facevano altro che alimentare la mia immaginazione. Così finivo per deprimermi e spaventarmi e mi prudevano le mani dall'ansia.

Il viaggio dal taxi all'ospedale lo passai al telefono, in continua apprensione. Connor era ancora irraggiungibile e Gideon mi ripeteva senza sosta che tutto sarebbe andato bene. Avrei voluto credergli.

Le luci al neon dell'ospedale non fecero altro che peggiorare il mio mal di testa. Pagai il tassista in fretta e mi defilai dentro, il borsone che mi pesava su una spalla e il volto ridotto a una cera melodrammatica. Appena arrivai all'accettazione, un'infermiera dai capelli ricci sgranò gli occhi piccoli come quelli di un topo.

«Como posso aiutarla?»

Snocciolai in fretta le mie urgenze e la seguii fino alla sala d'aspetto adeguata. Lì ad appettarmi c'era Connor che non si fermò a giudicare il mio aspetto disastroso e mi strinse al petto. Troppo stanca per sorprendermene lasciai cadere il borsone ai nostri piedi e mi aggrappai alle sue braccia. Appena ci staccammo, notai quanto fosse ridotto male: il viso era scavato e intorno agli occhi c'erano due macchie violacee, segno che non doveva aver dormito molto.

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora