39. Tra disperazione e amore

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La città era silenziosa e Gideon mi spiegò che a quell'ora tutti si chiudevano in casa perché faceva troppo caldo per stare fuori. A lui non sembrava importare che stessimo cuocendo sotto al sole, e nemmeno a me. Non potevo pensare alla mia pelle che si abbronzava quando stavo per affrontare un serio e difficile discorso con Gideon. Non ci sfiorammo nemmeno per sbaglio mentre sceglievamo con cura quale marciapiede percorrere e quali strade evitare. Nel silenzio generale, mi fece piacere guardarmi intorno e immaginare l'infanzia di Gideon in quel posto. M'indicò il suo vecchio liceo e il parco in cui giocava con i suoi amici, il teatro e il cinema, il supermercato dove aiutava la madre a fare la spesa e l'università in cui credeva sarebbe andato.

«Ho lavorato nel cinema per un anno, prima di andare a Seattle.»

Me lo immaginai con una divisa a servire popcorn e augurare ai clienti una buona visione. Mi venne da sorridere.

«Quanto li hai tinti i capelli?»

«Subito dopo che Todd mi ha tatuato le braccia. Volevo essere in tinta.»

Risi e lui con me. Durò poco ma fu intenso. Non ridevamo insieme da qualche tempo e mi erano mancate le sue macabre battute.

«Allora, com'è andata con Milo?»

Gideon non voleva fermarsi in nessun posto, così continuammo a passeggiare indisturbati, passando sotto ogni ombra degli alberi che calava sulla strada.

«Sarò onesto, mi aspettavo di peggio. È incazzato nero con me e non credo gli passerà tanto facilmente.»

«Che cosa vi siete detti?»

Sospirò, strizzando gli occhi a causa della luce troppo intensa. «Mi ha chiesto di raccontargli della mia vita da quando sono partito e io l'ho fatto. Gli ho detto tutto: Todd, l'università, i tatuaggi e il resto... Non sembrava impressionato ma non saprei dire cosa pensa di me. Così ho tenuto a precisare il patto che avevo fatto con Henry e che, durante questi anni, ho sempre saputo che non si stava drogando o peggio. Poi l'ho ringraziato per quello che ha fatto per papà e gli ho detto che ha reso orgogliosi sia me sia la mamma.»

Gli pungolai un fianco con il gomito. «Questo era un colpo basso.»

Le sue labbra guizzarono in alto. «Lo so, ho giocato un po' sporco.»

«E lui che ti ha risposto?»

«Che si puliva il culo con il mio orgoglio.»

Mi coprii la bocca con la mano, sia per lo sgomento sia per la risata che stavo trattenendo.

«Lo so, è un piccolo diavoletto. Ho riso anch'io quando me l'ha detto.»

«Ha la bocca larga, proprio come te.»

«Siamo entrambi testardi» convenne, con la voce un po' strana. «Comunque mi ha chiesto perché fossi tornato proprio adesso e io gli ho parlato di te.»

«Di me?»

Fissai Gideon con tanto di occhi, credendo di aver sentito male. Non poteva avermi messa in mezzo, perché altrimenti avrebbe fatto leva sui nostri sentimenti e sulla nostra relazione, e non capivo proprio come questo avesse potuto influire la sua scelta. Gideon annuì distrattamente ma non diede una risposta più soddisfacente. Continuò a calciare ogni lattina che incontrava per strada.

Alla fine prese un grande respiro e s'infilò le mani nelle tasche dei jeans. «Gli ho detto che se non ti avessi conosciuto probabilmente non mi sarei presentato per i prossimi dieci anni.»

«Perché hai detto una cosa de genere?»

«Perché è la verità.»

Dava sempre queste risposte con naturalezza, come se il loro significato fosse evidente e io una stupida che non lo afferrava. Invece non era evidente perché io non c'entravo nulla con le scelte di Gideon. Oppure sì? In tal caso, non aveva senso.

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora