16. Forse non ti piaccio abbastanza

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Quando Gideon entrò, mi trovò seduta sul divano intenta a cercare di accendere il televisore. Lo aiutai con le buste e mi lasciò sistemare qualche scorta nel frigorifero.

«Ti aiuto a cucinare» gli dissi mentre lo osservavo posare gli adeguati pensili e sughi sul piano cottura.

«Sai farlo?»

Colsi nel suo tono un avvertimento divertito e di rimprovero, mi stava prendendo in giro. Questa volta, però, in maniera scherzosa. Voleva farmi divertire. Nascosi un sorriso girandomi dall'altra parte.

«Puoi insegnarmi.»

Gideon non sembrava molto propenso a lasciarmi avvicinare ai coltelli o ai fornelli, mi trattava come fossi una bambina che deve tenere lontane le mani dal forno. Mi lasciò lavoretti che anche dalla mia esigua esperienza riconoscevo insignificanti. Aprii i barattoli di sugo e li versai nella pentola che poi lui si prese la premura di mettere sul fuoco.

«Non vorrei che le tue mani si rovinassero» mi spiegava di tanto in tanto, quando brontolavo per fare qualcosa di più costruttivo. Ribattevo che le mani si rovinavano con lavori molto più faticosi, come il giardinaggio o la scultura, ma lui non sembrava volermi dare retta. Alla fine restai a fissarlo mentre friggeva carote e cipolle nell'olio e mi limitai a porgere domande per capire meglio e trovarmi preparata nella possibile eventualità che la stessa scena si ripetesse in futuro.

Gideon cucinava per necessità, mi stava spiegando, non perché gli piacesse. Però con il tempo e la noia si era dato ai siti internet e aveva scoperto ricette assai succulente. Quella previsa per la sera in cui ero ospite comprendeva della pasta fatta in casa ripassata con sugo aromatizzato e un'insalata di pollo. Era bravo, molto più di quanto potessi sperare di essere io in futuro se mai avrei imparato a cucinare. La mamma mi aveva sempre assicurato che una volta avviata la mia vita mi sarei dovuta occupare soltanto di affari e grandiosità, di ricevimenti e inviti suntuosi, di cene raffinate e tanto, tanto buon lavoro. Non avrei avuto né tempo né voglia di restare in cucina a preparare del cibo, a quello ci avrebbe pensato chiunque io mi sarei potuta permettere di assumere. Nella casa della mia infanzia era Georgia, una donna che veniva da Cuba e aveva l'accento del Kentucky, che si preoccupava delle pulizie, dei pasti e della spesa. Da piccola avevo pochi ricordi di pomeriggi passati con i miei ma ne conservavo di bellissimi al parco con Georgia.

«È tutto buonissimo» dissi a Gideon, mentre finivo la mia insalata.

«Il tuo tono sorpreso mi offende. Ormai dovresti sapere che l'apparenza inganna.»

Sebbene il suo tono fosse sempre costantemente impassibile non riuscì a nascondere un sorriso beffardo.

«Non sono sorpresa perché tu sai cucinare. Sono sorpresa che riesca a farlo meglio di me.»

«Non hai mai cucinato?»

Scossi la testa e la abbassai, piena di vergogna. «Mia madre non sa farlo e io non sono mai dovuta ricorrere a un uovo al tegamino dell'ultimo minuto. Abbiamo una donna che si è sempre occupata di queste cose.»

Gideon annuì distratto e a me tornò alla mente la cornice nel suo cassettone. I vetri rotti e le facce annerite mi ossessionavano la testa. La mia lingua non voleva farne parola ma la ragione prendeva sempre il sopravvento sulle mie emozioni e sapevo che sarei scoppiata a breve. Cercai di distrarmi pensando a che bella serata stessi passando in sua compagnia. Le luci erano accese ma soffuse, Gideon aveva acceso una stufetta che teneva ben nascosta accanto al divano e l'aria era calda e confortevole. Eravamo seduti l'uno di fronte all'altra e tra di noi le posate piroettavano sui piatti. Era piuttosto intimo e la consapevolezza di quel momento mi piombò addosso con vivace torpore. Ero contenta di star vivendo una serata come una normale ragazza di diciotto anni, in compagnia di un bel ragazzo, parlando serenamente del più e del meno. In più, l'idea di stare sola nel suo appartamento non m'incuteva ansia o timore; in qualche modo sapevo, o almeno speravo ardentemente, che Gideon si sarebbe comportato da gentiluomo come aveva dimostrato di saper fare più volte, e mi avrebbe riaccompagnato al dormitorio a qualunque ora glielo avessi chiesto. Mentre finivo di raccogliere gli ultimi succulenti pezzi di pollo, Gideon restò a guardarmi con le mani incrociate sopra il tavolo. Il suo piatto era vuoto e sotto la luce giallognola delle lampade sul muro, sul suo volto brillavano sfumature ombrose.

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora