14. Principe azzurro ad Halloween

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Ormai le feste non mi terrorizzavano più, avevo passato la fase nella quale nessuno m'invitava e mi sentivo a disagio con tutti quelli che mi circondavano. Per una persona con la possibile fobia sociale, non avevo una diagnosi medica ma ne ero più che certa, una casa o una sala piena di persona urlanti ed euforiche non era mai il massimo. La mia nuova cerchia di amici mi poteva aiutare a tal proposito. Dakota mi sarebbe stata sempre vicina, parola di scout, Gideon aveva detto che non aveva di meglio da fare e se volevamo stare insieme non aveva nulla da ridire, Daisy ci avrebbe fatto compagnia. Connor, comunque, era membro della confraternita nella quale si teneva la festa di halloween e ci teneva a fare buona figura. Non prospettavo una cattiva serata, anzi, ero piena di buoni propositi. Speravo che passata la paura delle feste e con l'assicurazione di una compagnia sempre nei paraggi, mi sarei sentita a mio agio e normale. Funzionò così da quando lasciai i dormitori assieme a Gideon e Dakota fino a che, un paio di ore dopo, mi ritrovai chiusa nel bagno a sciacquarmi la faccia. Mi bruciavano gli occhi perché la mia compagna aveva deciso di applicare sopra le palpebre del mascara e di abbellirmi le guance con del rossore eccessivo. Del nero calò sotto le ciglia e io afferrai un asciugamano per togliermelo completamente. Il problema non era il divertimento, era il mio disagio. Volevo davvero divertirmi e la festa non sembrava così male. Quando avevamo messo piede nella casa, questa si era riscoperta accogliente e calda. Non c'erano persone ammucchiate le une sulle altre a saltellare con i bicchieri in mano. La musica c'era, ma come sottofondo. Quasi tutti si erano travestiti, compresi i nostri amici, e la gente si aggirava per le scale e per le stanze come se stesse camminando per le strade di Seattle. Gideon ed io eravamo gli unici a non esserci travestiti ma mi sentivo più con i piedi per terra dentro i miei jeans che in un costume. Dakota aveva scelto il tema di una piratessa, Connor di un dio greco, Daisy andò sul classico con una strega sexy. Avevamo assistito a una partita di just dance, due di bear-pong e un'altra ancora di braccio di ferro tra ragazze.

Aveva vinto Daisy.

Ero piuttosto divertita, in realtà. Dakota aveva rispettato la promessa e Gideon mi girava intorno come uno squalo, anche se di tanto in tanto qualcuno attaccava briga con lui. Non mi presentava mai, né io facevo un passo nella loro direzione, perché sarebbe sembrato strano. Da quando avevamo parlato di baciarci ancora, ci eravamo avvicinati solo una volta, due giorni prima della festa. Mi aveva invitato lui, chiedendomi di accompagnarlo. Mi aveva ingannato con il pretesto che se fossimo stati in due a disagio in quella situazione ce la saremmo svignata quando avremmo voluto. Tentata dalle sue parole, avevo accettato. Ma lui sembrava divertirsi molto più di me. Non che ridesse molto, ma aveva adottato un atteggiamento leggero e scherzoso con molti ragazzi che non avevo mai visto in giro. Parlava più di quanto gli avessi visto fare. Ero felice per lui e mentre cercavo di focalizzarmi sul mio obiettivo, ovvero divertirmi al massimo e non rovinare la serata, un ragazzo mi si era avvicinato. Mi ero subito guardata attorno, Dakota era a pochi metri di distanza, era stata distratta per la prima volta in due ore dal ragazzo, Daisy stava cercando di vincere l'ennesima partita a braccio di ferro nella cucina e Gideon si era allontanato per prendere da bere. Ero improvvisamente da sola. Piuttosto che farmi coraggio e cercare di cavarmela, me l'ero svignata sul serio. Il ragazzo non sembrava un malintenzionato, anzi, era anche carino. Era poco più alto di me, portava il costume di Superman un po' meno attillato dell'originale ed era senza mascherina. Aveva due bicchieri in mano e un sorriso dolce; dietro di lui, un gruppo di amici sghignazzava. Il panico mi aveva avvolto nel suo umile abbraccio e io me l'ero data a gambe. Mi ero chiusa in bagno tanto in fretta che le persone ferme nel corridoio a chiacchierate probabilmente mi avevano preso per pazza. Ero stufa di dover dipendere dalle persone fidate, stufa di andare nel panico, stufa di non saper parlare decentemente con sconosciuti innocui. Ero un caso clinico. Più la gente sembrava innocente e buona, più io scappavo da lei. Mi venne in mente il personaggio di The Big Ben Theory che non riusciva a parlare con le ragazze. Avevo il suo stesso problema, solo con il genere maschile e dalle sembianze innocue e single. Mi venne da ridere. Ero chiusa in bagno da più di un quarto d'ora e i miei amici mi avrebbero dato per dispersa.

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora