23. Verità e bugie

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Seduta accanto a lui, mi sentivo sotto processo. Lui doveva parlarmi eppure sentivo di essere io quella messa in mostra, vulnerabile.

«Che cosa succede?»

«Il mio nome è Gideon Markway» disse, il tono basso e potente, un sussurro grottesco in mezzo a una tempesta di silenzio. «Vengo dall'Illinois e sono scappato dalla mia famiglia a sedici anni. Scelsi Seattle perché lo considerai il punto più lontano dove potessi rifugiarmi, dove non mi avrebbero trovato. Non che ci abbiamo provato, ovviamente.»

Nulla mi sorprese nelle sue parole, né il suo nome né la sua fuga. Stava parlando, si stava confessando; ma perché proprio adesso? Invece di porre quella domanda, optai per non dire niente, timorosa di poter distruggere il momento. Mi limitai a fissarlo, cercando di prepararmi a qualsiasi cosa avesse da dirmi. Gideon prese un grande respiro, preparandosi a ciò che presto avrebbe affrontato.

«Ho un fratello, si chiama Milo. Quando sono andato via, lui aveva appena compiuto quattordici anni. Nostra madre è morta in un giorno di primavera, ci aveva appena ripreso da scuola. Ictus. Morte istantanea. Ho capito che era morta solo dopo aver vissuto senza di lei in casa per un mese. È bastato perché non vedessi nemmeno mio padre, mentre affrontava il lutto con tutti i suoi amici: gin, whisky, birra, vino, limoncello... Mia madre era bellissima e veniva da una famiglia di New York, possedevano un quarto di tutti i palazzi costruiti a Manhattan. Quando si sposò con mio padre, non le importò di doversi trasferire a Chicago, di abbandonare la metropoli e vivere pienamente il suo sogno romantico. Erano felici, circondati da vicini premurosi, collaboratori fedeli e famiglie gentili come lo era la nostra. Ricordo che ogni sabato la casa si popolava di signore con gonne sfarzose, capelli tirati e sorrisi bianchissimi; il salotto si riempiva di risate e odore di caffè. Era il club del libro di mia madre. Mentre la domenica andavamo dai nonni, mangiavamo sempre il gelato dopo i pasti.»

Gideon si alzò così velocemente dal letto da farmi sussultare; se mi fossi vista allo specchio avrei saputo di essere crea in volto e con gli occhi spalancati. Avevo trattenuto il fiato per tutto il tempo. Gideon continuò a camminare, avanti e indietro, strofinando lentamente i palmi delle mani tra di loro e torturandosi così violentemente le labbra che mi aspettavo di veder uscire un rivolo di sangue da un momento all'altro.

«Dopo due mesi dalla sua morte, la piccola villetta lontana dal centro che mio padre aveva costruito con le sue mani diventò una casa fantasma. Lui stesso cominciò ad allontanare nonni e familiari, perché non sopportava di dover condividere anche con loro quel dolore. All'inizio era solo assente e a me andava bene così. Andava meno bene a Milo, però, che si lamentava, e piangeva, gridava ogni sera che voleva la mamma o che il papà tornasse a casa prima dal lavoro. Non ho mai capito come un bambino di dieci anni avesse tutta quella consapevolezza. Ma ero io il maggiore, quindi per distrarlo passeggiavamo in giardino quasi tutta la notte, finché non si addormentava sul portico di casa, al sorgere del sole. Dopo tre mesi presi coraggio e dissi a mio padre che Milo stava male, che io stavo male, e lui promise di rimanere più tempo a casa. Rispettò la promessa, e non c'è giorno in cui io non mi penta di avergliene parlato. Il salotto tornò a riempirsi ma alle gentili carezze delle amiche della mamma vennero sostituiti dei volgari ubriaconi di provincia, che mio padre raccattava dai bar come suoi nuovi compagni di bevuta. Ogni sera giocavano a qualcosa di diverso: poker, Texas Hold'em, teresina, dieci e mezzo... Gideon, prendi il tabacco; Milo, prendi un bicchiere dalla dispensa; Gideon servi a Roger del pollo; Milo, pulisci subito il vomito dal tappeto!»

Mi resi conto di star silenziosamente singhiozzando quando le mie mani cominciarono a punteggiarsi di stelline umide. Tolsi le lacrime in fretta sperando che Gideon non notasse la mia reazione al suo racconto. La sua espressione tanto immobile improvvisamente prese un nome, o una giustificazione: paura, difese, rabbia.

The Only Safety || The Tattoo Hearts Series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora