20- Justin

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Sono da poco passate le sette e mezzo del mattino, ma il pronto soccorso è già gremito di gente in attesa di ricevere qualche minuto di attenzione dai medici stressati per il sovraccarico di lavoro. Ripassando mentalmente le indicazioni fornitemi da un'infermiera, cammino a passo spedito cercando di scrollarmi di dosso immagini improbabili di Jennifer stesa su un letto d'ospedale.

È inutile che io mi tormenti per qualcosa che io e Clayton siamo riusciti a tenere sotto controllo, nonostante questo abbia significato che uno di noi due abbia dovuto farsi del male al suo posto. Questa volta è toccato a Clayton, ma credo che egli sia stato ben contento di prendersi in carico questo pericolo. E me ne convinco sempre di più quando, avvicinandomi ad una porta socchiusa, in un corridoio relativamente silenzioso, noto il suo sorriso trionfante che gli spunta sulle labbra alla mia vista.

Incoraggiato da un suo cenno della testa, mi addentro in quella stanza angusta, iniziando ad analizzare all'istante la sua figura stesa scompostamente sul scomodo lettino ospedaliero. E stranamente provo un senso di sollievo nel notare che, tralasciando il collare cervicale che gli circonda il collo e i graffi sul viso provocati dall'attivazione dell'airbag, egli se la sia cavata senza essersi fatto troppo male. Forse, dopotutto, inizio ad odiare un po' di meno questo bastardo.

"Ti ha mandato Jace?" Mi chiede in un tono quasi impercettibile,  probabilmente nell'intento di non svegliare l'altro uomo che, momentaneamente, condivide la stanza con lui e che sembra profondamente addormento nel suo lettino altrettanto piccolo e scomodo.
"Si." Ribatto, osservandolo mentre cerca di abbottonrsi a fatica la camicia, con il viso contratto in una smorfia di dolore.
"Ti sei fatto male alle costole?" Mi informo, sedendomi su una delle due sedie collocate vicino al suo letto.
"Mhhh." Mormora in segno di conferma. "Però mi è andata bene."
"Meglio tu che Jennifer." Asserisco, alzando un sopracciglio con fare divertito.
"Esattamente!" Esclama, ricambiando con un ghigno divertito. "Ma Jace vorrà accontentarsi solo con questo?"

Restando in silenzio per qualche secondo, mi ritrovo ad ammettere con me stesso che, in questo preciso istante, io stia provando un pizzico di ammirazione per questo individuo che, benché continui ad essere una spina nel fianco, dimostra di essere fin troppo maturo per i suoi ventidue anni.

Mi sarei comportato allo stesso modo, due anni fa? Avrei avuto la stessa prontezza nell'ammettere le mie colpe e affrontare le conseguenze a testa alta? Perché è questo che lui sta facendo. Ammette di aver sbagliato nel lasciarsi sopraffare dall'egoismo, introducendo Jen, seppur in maniera inconsapevole, in un mondo che non ha niente a che fare con lei, per poi lottare affinché questa scelta sbagliata non si ritorca contro la persona più importante della sua vita.

"A lui non importa veramente chi si sia fatto del male." Rispondo finalmente, ricordandomi la telefonata con cui sono stato strappato dal letto. "L'importante, per lui, è che tu abbia recepito il messaggio."
"È per questo che ti ha mandato qui?" Continua a chiedermi, rilasciando una breve risata. "Per assicurarsi che io sappia che dietro a questo ci sia proprio lui?"
"Si." Confermo senza tanti giri di parole, stendendo le gambe davanti a me appoggiando la schiena pigramente allo schienale della sedia. "Non è poi così furbo."
"Suppongo di no, dal momento che riesci a giocartelo sulle dita, come se fosse una marionetta." Constata, alzando un sopracciglio con fare scettico. È come se mi stesse rivolgendo una domanda tacita, senza però voler rovinare questo stato di relativa tranquillità che si è instaurata tra di noi. Ma io so di non poter rispondere, nemmeno se lui fosse il mio miglior confidente, perciò mi limito a sviare l'argomento su un terreno che, pur non essendo più neutro, non lasci rivelare troppo su ciò che mi porta a sfidare Jace.

"Hai già chiamato Jennifer?" Gli chiedo, scattando in piedi.
"Si, dovrebbe arrivare a momenti." Ribatte, lanciandomi uno sguardo disperato. "Le ho detto che è stato un incidente e le ho raccontato di come io abbia perso il controllo della macchina, schiantandomi contro un albero."
"E se venisse a scoprire dei freni manomessi?" Chiedo, ridendo di gusto di fronte a questa assurda bugia che però, con un po' di fortuna, potrebbe addirittura funzionare. D'altra parte, è altamente improbabile che la testa di Jen venga attraversata dall'idea che il suo ragazzo possa aver inscenato di proposito un incidente.
"Non succederà." Ribatte Clayton in tono sicuro.
"Buona fortuna!" Esclamo ironicamente, afferrando prontamente la mano che egli allunga nella mia direzione in segno di pace.
"Tienila d'occhio in questi giorni, nel caso in cui Jace avesse qualcos'altro in mente." Asserisce, mentre io mi avvicino lentamente alla porta.
"Diventerò la sua ombra." Ribatto scherzosamente, sparendo dalla sua visuale più velocemente che posso, giacché vorrei evitare un incontro ravvicinato con Jen.

Non che io non voglia vederla. Sarebbe una grande cazzata affermare qualcosa del genere, quando, in realtà, muoio dalla voglia di starle attorno. E non c'è alcun gusto nel mentire a me stesso.
Solo che sono semplicemente e pienamente consapevole del fatto che sia passato ancora fin troppo poco tempo perché la sua rabbia nei miei confronti possa essere svanita interamente. E forse questo non è il luogo più adatto per sopportare passivamente qualunque cosa lei mi voglia urlare in faccia.

Ma presto capisco che qualcuno, lassù, ha qualcosa di diverso in mente per me. Dopo solo qualche passo fatto nel corridoio, vedo Jen materializzarsi in lontananza, mentre io mi fermo d'istinto dalla mia avanzata e me ne resto immobile in attesa di ciò che avrei potuto evitare se fossi riuscito a svignarmela molto prima.
Ci vuole qualche secondo perché lei metta a fuoco la mia immagine, visto che continua a guardarsi intorno con fare estremamente preoccupato. Ma anche quando ciò succede, il suo sguardo vitreo mi trapassa come se fossi completamente trasparente. È questione di qualche attimo prima che lei mi oltrepassi senza rivolgermi alcuna parola, per poi sparire nella stanza da dove poco fa sono uscito io.

E io, invece di riprendere a camminare e sospirare per il sollievo di aver evitato un qualunque scontro, continuo a restare immobile e guardare nella direzione in cui è sparita. Sono stordito dalla freddezza con cui mi ha guardato, e sono anche altrettanto confuso nel vedere quanto quelle iridi incredibilmente azzurre possano essersi trasformate in ghiaccio puro quando solo qualche giorno fa diffondevano un calore potente quanto quello dei raggi del sole.

Era in grado di riscaldarti il cuore anche soltanto puntandoti addosso il suo sguardo limpide come il cielo. Ma ora, con lo stesso sguardo, ti toglie il respiro, congelando ogni fibra del tuo essere.

È un po' paradossale come situazione, ma è ciò che mi merito. Sono io ad averla costretta a provare un odio che qualcosa mi dice non sia affatto caratteristico della sua indole solare. Ma questo non mi aiuta a scrollarmi di dosso questi senso di impotenza che mi sta assalendo. Perché è questo che sento, mi pare di non essere in grado di alzare nemmeno un dito per spazzare via questo sensazione che mi sta mangiando dentro.

Con ogni istante che passa, mi rendo conto che ciò che mi legga a Jen non abbia interamente a che fare col mio piano malato. Non prendiamoci in giro! Quella ragazzina si è infiltrata sotto la mia pelle, senza neppure volerlo, lasciandosi dietro una traccia su cui io ho costruito castelli di sabbia. Castelli che ora si stanno sgretolando davanti ai miei occhi, spazzando via quel velo di confusione che fino ad ora mi ha impedito di assimilare il fatto che io abbia smesso di bastare a me stesso.

E' così, non mi basto più. Non sono più felice di essere un lupo solitario, che ogni tanto riempie le sue notti con una presenza del tutto insignificante, per poi tornare ad avvolgersi nella solitudine.
Jen mi ha trascinato fuori dalla mia comfort zone, facendomi desiderare un qualcosa che non ho il coraggio di prendermi. E vorrei davvero poterle addossare questa colpa, ovvero l'aver distrutto il mio equilibrio mentale ed aver occupato ogni angolino della mia mente impostata anche fin troppo razionalmente.
Ma lei non ha alcuna colpa. Si è limitata ad essere se stessa, essendo completamente all'oscuro del fatto che questa sia proprio la sua arma più letale contro ogni muro costruito intorno al mio cuore.

N.a.
Ecco a voi un esemplare di Justin disperato per un amore che, a suo dire, non potrà mai essere ricambiato. Non so a voi, ma a me fa un po' di tenerezza! 😅
A presto! Baci xx

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