Il dolore sordo che sento nella testa mi costringe ad aprire gli occhi e fare i conti con la realtà. Questa sensazione di malessere mi ricorda tanto i risvegli dopo i festini alcolici che organizzavo durante l'ultimo anno delle superiori insieme ai miei amici scapestrati. Eppure sono perfettamente sicuro di non aver ingerito nemmeno una goccia d'alcol la notte scorsa.
Prendendo a massaggiarmi le tempie un po' troppo energicamente, mi guardo intorno con fare spaesato. Ed è proprio in questo momento che noto che Jen mi sta osservando attentamente mentre se ne sta seduta sul tavolino collocato di fronte al divano, nel suo piccolo salotto invaso dai raggi di sole mattutino, con il viso contratto in un'espressione inquisitoria.
Senza proferire parola, allunga il braccio per offrirmi una tazza di caffè e io le sorrido come un ebete, ignorando il motivo per cui nei suoi occhi incredibilmente azzurri si possa leggere chiaramente una certa ostilità e diffidenza.
Ma è questione di qualche secondo prima di ricordami che la mia maschera si è dissolta come il ghiaccio sotto il sole cocente. Ora sa quale sia la mia vera identità, e la cosa peggiore è che non le ho fornito nemmeno una breve spiegazione prima di vederla sparire nella sua stanza e darle il tempo di creare mille ipotesi durante la notte."La colazione è pronta." Asserisce in tono piatto, osservandomi attentamente mentre mi stiracchio i muscoli indolenziti. "Sempre che tu voglia restare."
"Resterò finché mi vorrai qui." Rispondo semplicemente, riprendendo la tazza di caffè tra le mani, dopo averla abbandonata il tempo necessario per assicurarmi che i miei muscoli siano ancora funzionanti. Il divano non è poi così comodo quando ti addormenti con l'idea che, se la vita fosse giusta, probabilmente ti troveresti nel letto della ragazza che ami.
"Vorrei farti un paio di domande." Continua, alzandosi prontamente in piedi, per poi avviarsi verso la cucina, senza controllare se ho la benché minima intenzione di seguirla. Forse lo sa che la seguirei pure all'inferno, o forse considera semplicemente che sia il minimo che io possa fare dopo averla mentita spudoratamente. Ad ogni modo, qualunque sia la ragione, di certo non mi tirerò indietro. Cercherò di rispondere a tutte le sue domande senza scavarmi una fossa ancora più profonda, anche se so che è un'impresa a dir poco titanica. A giudicare da come mi guarda, immagino che nella sua testa io sia già morto e sepolto.Non appena metto piede in cucina, l'odore di pancakes mi investe immediatamente, spingendomi a sorridere involontariamente. So bene quanto Jen abbia sempre odiato mettersi ai fornelli. Ed è per questo che la sua colazione solitamente consiste in una tazza di caffè e una mela, e forse, nelle giornate in cui è particolarmente di buon umore, due o tre biscotti ai frutti di bosco.
È bizzarro che abbia scelto di fare uno sforzo proprio in un momento tutt'altro che felice, ma preferisco non esprimere a voce alta le mie perplessità."Ti chiami veramente Justin?" Mi chiede di punto in bianco, spingendo delicatamente la bottiglietta di schioppo d'acero nella mia direzione.
"Si." Ribatto, sforzandomi di mantenere un'espressione seria. La situazione deve essere più grave del previsto, considerando che sta dubitando persino che il mio nome sia effettivamente Justin.
"Stevens?" Prosegue, inarcando un sopracciglio.
"Stone." Ammetto, abbozzando un sorriso di scuse.
"E non lavori in una casa editrice." Prosegue, versandomi del succo d'arancia in un bicchiere. "Ho 24 anni e sono un agente della narcotici." Replico, confermando la sua supposizione.
"Quindi, il tuo intento era quello di incastrare Jace per il suo giro di droga." Constata pensierosa, in un tono incerto. Il suo cervello sta analizzando ogni mia risposta ad una velocità spaventosa.
"In parte." Ribatto, fermandomi per qualche secondo per dare un senso compiuto al mio discorso. "In realtà, mi è stato affidato il compito di indagare su Jace per il suo giro di prostituzione minorile. Non rientra nel mio campo d'azione, ma i miei superiori hanno ritenuto che fossi la persona più adatta, soprattutto perché, nel frattempo, avrei potuto indagare anche sul suo giro di droga."
"Prostituzione minorile?" Chiede esterrefatta, spingendo via il piatto che ha davanti. "Clayton ne sa qualcosa?"
"No." Mi affretto a rassicurarla. "Jace si è creato un altro gruppo per questo nuovo giro, perché ha sempre saputo che il vecchio non l'avrebbe mai appoggiato."
"Di quante ragazzine parliamo?" Mi chiede in un filo di voce.
"Tante. Forse un centinaio, o anche di più. Siamo riusciti a sottrarne più della metà, ma il fatto è che non possiamo essere sicuri delle nostre stime. Sono ragazzine la cui scomparsa non è stata denunciata da nessuno. Nel momento in cui Jace le ha rapite e le ha rinchiuse, nessuno se n'è accorto o perlomeno nessuno ha pensato valesse la pena di lottare affinché venissero ritrovate."
"E che ne sarà di quelle che ancora non avete trovato?" Si interessa, sinceramente preoccupata. Sembra che i suoi problemi siano appena passati in secondo piano con una facilità disarmante.
"Speriamo di scoprirlo durante il processo di Jace." Ammetto, distogliendo lo sguardo.
Dopo di questo, Jen resta in silenzio, lasciando che io consumi la colazione preparata da lei, mentre i pensieri si adagiano sulle mie spalle, trasformandosi in un peso insopportabile.
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Phoenix
Fanfiction"So di aver sbagliato tutto, Jen. Ho lasciato che combattessi da sola le tue battaglie e, più delle volte, io stesso ho aggiunto un sacco di peso sulle tue spalle esili. Ogni volta, mi sono limitato a guardarti rinascere dalle tue stesse ceneri. Ti...