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"Ho finito." Asserisce Clayton in un tono quasi impercettibile, come se stesse cercando di rassicurare se stesso.
Voltando finalmente la testa, mi permetto di lanciare uno sguardo nella direzione di Justin, che ha il viso contratto in una smorfia di dolore.
Eppure, durante tutto il tempo in cui Clayton ha fatto di tutto pur di tirare fuori quella maledetta pallottola dalla sua spalla sinistra, non ha emesso alcun suono che facesse pensare ad un lamento. Semplicemente si è limitato ad intimarlo ad andare avanti quando Clay si è bloccato, lasciandosi sopraffare dalla consapevolezza di quanto dolore gli stesse procurando.

Io non ho avuto il coraggio di guardare quella scena. Tappandomi la bocca con una mano, per assicurarmi che non ne sarebbe uscito niente di quello che avrebbe potuto interrompere Clay, mi sono accostata alla finestra e ho fatto finta di guardare fuori, aspettando pazientemente che quello spettacolo macabro finisse.

Per un po' ho anche sperato che Justin avesse davvero perso i sensi, in modo da non rendersi pienamente conto e non sentire totalmente il dolore che gli veniva inferto. Ma quando ho sentito per la prima volta la sua voce resa roca dalla sofferenza, oltre alla speranza che spariva nel nulla, ho sentito anche un dolore sordo in un piccolo angolino del cuore...come se davvero io e Justin fossimo collegati da un filo invisibile e un po' del suo dolore fosse diventato anche mio. È stato strano e straziante allo stesso tempo.

Ad ogni modo, è stato alquanto inutile rifiutarmi di guardare la lama del coltellino che lacerava la sua carne, perché, analizzando le mani insanguinate di Clay e la sua fronte imperlata di sudore, riesco ad immaginarmi ogni più piccolo dettaglio, anche se ciò è l'ultima cosa al mondo che voglio in questo preciso istante. Per non parlare dell'espressione di Justin. Santo cielo! Qualcosa mi dice che mi resterà impressa nella testa per molto, moltissimo tempo.

"Devo assolutamente lavare via tutto il sangue che ho addosso." Prosegue Clay, dopo qualche istante di silenzio. "Mi sento come se fossi il suo carnefice."
"Beh, effettivamente sembrava tu ti stessi divertendo abbastanza con quel coltello." Si sforza di scherzarci su Justin e io vorrei davvero tirargli qualcosa in testa, nonostante egli sia già ridotto in condizioni a dir poco pietose.
"Vaffanculo!" Esclama Clay, asciugandosi la fronte con l'avambraccio. Tuttavia, nel suo tono non scorgo alcuna traccia di malizia o risentimento. Perciò, non posso fare a meno di chiedermi quando il loro rapporto sia così mutato, trasformandosi da una rumorosa tempesta provocata da un profondo odio ad un brusio di sottofondo.

"Puoi stare un po' con lui e assicurarti che resterà nel mondo dei vivi?" Mi chiede Clay, osservando disgustato le sue mani.
"Io? Ne sei sicuro?" Chiedo in un tono incerto.
"Oh andiamo, è mezzo moribondo. Per ora sono abbastanza convinto che non proverà a metterti le mani addosso." Afferma divertito, iniziando ad avviarsi verso la rampa di scale che porta al primo piano.
"Io non ci conterei." Risponde Justin, cercando invano di cambiare la posizione, per poi finire col restare sdraiato quando capisce che anche la più piccola mossa equivale ad una potente fitta di dolore.
"Se ci provi, finirò io stesso il lavoro di Jace." Lo minaccia scherzosamente Clay, e nel suo tono di voce continua a non esserci niente di quello che potrebbe ricordare l'astio che solo poco tempo fa c'era tra di loro.

Per perdere un po' di tempo e rimandare il momento in cui mi ritroverò da sola con Justin, essendo intenzionata a portargli un bicchiere d'acqua, mi avvio in cucina con passi estremamente lenti, ripetendomi mentalmente di mantenere un atteggiamento distaccato. Ma so di star chiedendo l'impossibile a me stessa. Già in condizioni normali faccio una fatica immane quando si parla di conservare un atteggiamento neutro, figuriamoci se poi Justin ha tutta l'aria di essere un cucciolo ferito e bisognoso di cure. Naturalmente, da vera crocerossina quale sono, non posso che sentire la necessità di essere io a dargli tali cure, malgrado io sia ben consapevole che non si meriterebbe nemmeno di sentirsi rivolgere la parola da parte mia.

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