23- Justin

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Approfittando della momentanea disattenzione di Jace, mi lascio cadere sul vecchio divano su cui è seduto Clayton, che se ne sta immobile con lo sguardo perso nel vuoto e la mascella visibilmente contratta, avvolto com'è da un velo di rabbia mal celata.

"Fai finta di voler essere qui, altrimenti Jace tenterà di farti fuori di nuovo, e questa volta intendo letteralmente. " Sussurro, pretendendo di guardare il soffitto sporco del loft.
"Mi taglierei un braccio piuttosto che averlo ancora intorno." Dice, imitando il mio tono di voce.
"Ma fai in modo che non venga mai a saperlo." Ritento, lanciandogli uno sguardo divertito. Al che egli, come risposta, mi rivolge un cenno di assenso per poi voltare la testa nella direzione opposta, come se volesse ignorare la mia presenza. E io mi affretto a fare altrettanto, sapendo che sarebbe un errore madornale far capire a Jace che, in un certo senso, stiamo confabulando contro di lui. Ed inoltre, questa sorta di alleanza continua ad essere estremamente bizzarra.

"Ascoltatemi.." Inizia il nostro nemico ancora non dichiarato apertamente, schiarendosi la voce, per poi avanzare di qualche passo in modo da arrivare al centro della stanza. "In questi giorni vi voglio tutti sull'attenti, perché c'è qualcuno che vuole prendere il nostro posto."
"Cosa vuol dire?" Chiede Jason, uno degli scagnozzi preferiti di Jace.
"La banda di Blake ci ha dichiarato guerra. E so che questo non dovrebbe preoccuparci, perché, in fondo, parliamo di una schiera di bambini che giocano a fare i gangster. Ma se ci pensate bene, sono talmente incoscienti da essere disposti a far di tutto pur di sopraffarci." Spiega Jace con un'aria di sufficienza. "E noi non possiamo permetterci di lasciare che un paio di bambini ci distruggano ciò che abbiamo costruito in un paio d'anni, giusto?"

La sicurezza con cui ne parla mi dà altamente sui nervi. Questo bastardo sa fin troppo bene che ogni persona presente in questa stanza è sempre pronta a coprirgli le spalle al più lieve schiocco di dita. Le uniche eccezioni siamo io e Clayton, ma entrambi- chi per un motivo, chi per un altro- siamo costretti a far finta di essere disposti a renderci delle marionette nelle sue mani avide.

"Quindi, quando vi chiedo di entrare in azione, fatelo senza tante storie." Preferisce, terminando così il suo discorso.
Dopodiché, nell'aria prendono ad echeggiare i soliti argomenti: donne, droga e soldi. Questo tipo di conversazioni futili vengono interrotte solo dall'arrivo di tre degli oggetti che suscitano più interesse nelle loro teste malate. Sono tutte e tre vestite in maniera succinta e hanno un'aria maledettamente familiare. Ma ancor prima di permettere a me stesso di indagare su dove le abbia incontrate prima di allora, mi congedo velocemente e me la do a gambe levate tra i fischi di disapprovazione di Jace.

Però, mi rendo subito conto di essere stato seguito quando capto il rumore dei tacchi a spillo che entrano in contatto col cemento, provocando un suono insopportabile. E benché io mi trovi solo a qualche passo dalla mia macchina, cosa che mi permetterebbe di andarmene senza poter essere seguito, a meno che la "donzella" in questione non sia veloce quando un ninja, decido comunque di voltarmi e scoprire chi sia colei che ha deciso di ficcare il naso nei miei affari.

"Justin, Justin, Justin..." Asserisce la donna, leccandosi le labbra prima di proseguire."Non dirmi che non ti ricordi di me!"
"Dovrei?" Ribatto, affondando le mani nelle tasche dei jeans. In maniera del tutto sfacciata, inizio ad analizzare il suo corpo fasciato in una minigonna rosa e quello che dovrebbe essere un top nero, ma che in realtà ha le dimensioni di un reggiseno. Eppure, il dettaglio che la rende familiare, anche seppur in maniera confusa, sono i suoi capelli biondo-platino che mettono in risalto la sua finta abbronzatura.

Ed ecco che nella mia testa iniziano a comparire un sacco di immagini di una sera, di circa due mesi fa, quando ho fatto l'errore di ubriacarmi a tal punto che sono finito a letto con questa tizia, per poi vivere per un paio di giorni col terrore di essermi lasciata sfuggire dettagli che potessero rovinare tutti i miei piani. Inutile dire che quella sia stata l'ultima volta che ho messo una goccia di alcol in bocca.

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