cap.8

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8 ottobre, 12.18

Eren
- Mi prendi in giro, vero?

Levi scosse la testa:- No, Moccioso. Usciamo davvero. Ti fanno uscire da qui.

Lanciai uno sguardo alle catene che correvano dai miei polsi a terra, poi lo riportai su Levi:- Davvero?- chiesi con le lacrime agli occhi.

Lui annuì, mostrandomi una chiave... anzi, la chiave. Quella che apriva gli anelli da anni attorno ai miei polsi, sulle caviglie e sul collo.

Riuscii solo a sorridere, tendendo le braccia verso di lui, che fece subito scattare le due serrature e lasciò cadere a terra i due anelli.

Il suono rimbombò in tutta la stanza.

Risuonò dentro di me.

Mentre Levi passava a sganciare tutte le altre catene pensai che forse poteva davvero cambiare qualcosa.

Anche se solo per poco, ma poteva cambiare.

Mi alzai in piedi, trovandomi stranamente alto rispetto a Levi, e sembrò accorgersene anche lui visto che mi intimó subito:- Non dire una parola.

E così si voltò verso la porta, dove due guardie stavano aspettando in un'inquietante tensione, al contrario di lui che si voltò accorgendosi che non lo seguivo:- Tutto bene?

Annuii:- Sì, solo che... è difficile. Bellissimo, ma difficile.

Un po' faceva paura. Ero stato chiuso in una stanza sotterranea per undici anni, senza avere nessuna notizia dal mondo.

Cosa c'era là fuori? Era cambiato qualcosa?

Guardai il corridoio, dietro Levi, che sembrava così vicino e semplice da raggiungere, ma in realtà era assurdamente lontano.

Allora Levi mi venne incontro:- Oi, siamo in un ospedale psichiatrico. Non ti noteranno nemmeno.

E mi porse una mano.

Appena la afferrai lui mi condusse fino alla porta, ma allora ero troppo concentrato sulla pressione delle sue dita sulla mia mano, della sua incredibilmente fredda attorno alla mia, per accorgermi di essermi appena lasciato alle spalle anni di urla e lacrime.

Aumentai un po' la presa mentre sentivo la porta chiudersi alle mie spalle.

La stessa porta che mi avevano chiuso in faccia tempo fa.

Le guardie ci vennero dietro ma non mi importava.

Affiancai Levi, senza mollare la sua mano, e guardai le scale che lasciavano i sotterranei avvicinarsi.

E partii dal primo gradino.

Un po' alla volta, con la sicurezza della mano di Levi, sarei arrivato in cima.

Appena arrivammo al piano terra la luce del sole sembrò una cosa così accecante e allo stesso tempo bellissima che non riuscivo a crederci.

Non me la ricordavo.

Levi si voltò a guardarmi, senza smettere di camminare, e sorrise(OMFG! EVENTO DEL SECOLO: LEVI HA SORRISOH):- Non era così difficile, no?

- No... direi di no.

Attraversammo l'atrio dove gli sguardi di diversi medici e terapeuti dardeggiarono su di noi per un attimo, prima che riprendessero a lavorare.

Tra tutti quei volti non ne conoscevo nemmeno uno, fino a quando non distinsi Hanji, che reggeva un caffè con la mano destra e con lo stesso braccio teneva contro il busto un sacco di carte, mentre la mano sinistra era impegnata a digitare qualcosa su un tablet posato in precario equilibrio sopra una pila di libri.

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