cap.22

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24 gennaio, 22.42

Eren
Mi ranicchiai un po' di più sotto le coperte, nella speranza di trovare riparo dall'aria gelida che aleggiava in tutta la stanza.

Mi ricordava fin troppo la pietra fredda, le catene spesse...

E poi mi ero abituato al riscaldamento dell'ospedale, mentre in quel vecchio edificio, fornito per miracolo di porte e tetto, l'aria era la stessa che c'era all'esterno.

Non mi aspettavo che il demone si facesse vedere, ma forse era l'abitudine che mi teneva sveglio, con gli occhi fissi nel buio, dove doveva esserci il muro.

O forse era la consapevolezza che qualcuno mi volesse morto.

L'ombra che avvolgeva la stanza, talmente impenetrabile da sembrare solida, era familiare.

Abbastanza familiare da ricordarmi le urla, il sangue, gli anelli freddi sulle braccia; ma anche per ricordarmi il silenzio spezzato da una voce che non era la mia, e nemmeno quella del demone. Abbastanza familiare per ricordarmi le mani che scorrevano sulle catene, fino ad afferrarmi i polsi, per ricordarmi che, qualche volta, l'oscurità non era così male.

Un cigolio ruppe il silenzio.

Trattenni il respiro, anche se non sapevo di preciso perché, solo sentivo la necessità di non farmi sentire.

E poi, come se venisse direttamente dai miei pensieri, quella voce sussurrò:- Sei sveglio?

Rilasciai l'aria che avevo trattenuto:- Sì.

Qualcosa produsse uno schiocco leggero e poco dopo un bagliore soffuso si allargò su tutta la stanza.

Levi teneva il mano una vecchissima lampada ad olio, mi chiesi dove l'avesse trovata dal momento che lì non c'era nemmeno la corrente, ma rinunciai a chiederglielo.

Lui avanzò ed appoggiò la fonte di luce sul comodino.

Si puntellò con un ginocchio sul materasso, facendo cigolare le vecchie molle:- Tutto bene?

Inclinai la testa per incrociare il suo sguardo e risposi:- Mmh mmh, solo che fa veramente freddo...

Mi parve di vedere un sorriso sulle sue labbra... Ma forse era solo un gioco delle ombre.

Poi lui si fiondò inaspettatamente sulle mie labbra.

Al contatto familiare della sua bocca portai automaticamente le mani attorno al suo collo e mi radrizzai mettendo la schiena contro il muro.

Sentii il gelo insinuarsi attraverso il tessuto della maglietta e rabbrividii, di rimando le braccia di Levi si strinsero attorno al mio corpo.

Sentii un calore leggero diffondersi sulla pelle e, piano, smisi di tremare.

Levi mollò le mie labbra e, quando espirai, vidi il fiato condensarsi in una nuvoletta.

Quando si mosse, assecondai i suoi movimenti, spostando le gambe attorno al suo bacino e la testa di lato, per avvertire il contatto delicato delle sue labbra sulla mia pelle.

Scese piano lungo il mio collo, lasciandosi dietro una scia di baci leggeri, fino a fermarsi solo il tempo necessario per infilare le dita sotto il bordo della mia maglia e spingerlo verso l'alto.

Alzai le braccia e l'indumento cadde nell'ombra che avvolgeva il pavimento con il solo suono del fruscio della stoffa.

Sentii le sue labbra posarsi nuovamente sulla mia pelle, ma questa volta Levi prese a succhiare un punto preciso: sopra la clavicola, alla base del collo.

Portai le mani attorno alla sua schiena, facedomi sfuggire un silenzioso "mh" quando lui fece passare la lingua sul punto a cui si era interessato, per poi soffiarci sopra, piano.

Dopo di che le sue dita sottili si mossero seguendo linee invisibili che tracciavano il confine tra un muscolo e l'altro o il percorso di un tendine, gli occhi fissi nei miei, per la prima volta per nulla burrascosi.

Non c'era la tempesta nel suo sguardo, non c'era la nebbia impenetrabile e non c'era il metallo affilato e tagliente.

Era argento, quello.

Luminoso, prezioso, sincero.

Le sue dita raggiunsero l'elastico dei miei pantaloni, prendendo ad abbassarlo lentamente.

Levi spostò lo sguardo sul mio torace, probabilmente con l'intenzione di portarlo sulle sue mani, ma si bloccò.

Le sue dita risalirono fino al centro del mio petto e lui chiese in un sussurro:- Cos'è questo?

Levi
- Cos'è questo?

Al centro del suo petto c'era una figura nera, impressa ad inchiostro. Un tatuaggio.

Mi avvicinai per vederla meglio.

Era una chiave.

Eren sbatté le palpebre un paio di volte:- Non credo di ricordarmelo...

Eppure, nessuno si sarebbe preso il disturbo di fare un tatuaggio ad un paziente di un ospedale psichiatrico.

Quindi doveva averlo da prima.

Puntai nuovamente gli occhi nei suoi:- Da quanto ce l'hai?

Lui parve pensarci per un momento, poi rispose:- Da sempre, che io ricordi.

Gli misi le mani sulle spalle:-Senti, potrebbe essere davvero importante. Potremmo scoprire qualcosa sul demone e...

Mi interruppe a metà della frase, premendo le labbra sulle mie.

Ricambiai il bacio, leggermente stupito, interrompendolo solo per chiedere:- Non lo vuoi sapere in questa situazione, giusto?

Le sue guancie presero una sfumatura rossa:- È che... Io non vorrei pensarci, almeno per un po'...

Era troppo bello. I capelli leggermente arruffati che ricadevano in ciocche soffici sulla fronte, le labbra appena arrossate e le linee: quella dal mento all'orecchio che disegnava la mascella, il tratto del naso, della clavicola che spariva fino alla curva della spalla...

E gli occhi. Quegli occhi verdi che illuminavano anche l'oscurità più fitta, contornati dalle ciglia scure.

"Io non vorrei pensarci, almeno per un po'..."

Spostai una mano sulla sua guancia:- Una notte. Una notte è abbastanza?

I suoi occhi brillarono:- Una notte sarebbe un sogno.

- Lo sarà.

ANGOLO SCRITTRICIA:

Ecco a voi... UNA GIOIA DOMENICALEH!

Psycho || Ereri ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora