cap.10

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8 ottobre, 22.10

Eren
Sentii le molle del letto scricchiolare e i passi leggeri di Levi che venivano verso di me.

Ad un certo punto nella stanza rimbombò un:- Merda, Moccioso! Di qualcosa, non capisco dove sei!

- Ok.- iniziai - Ti stai allontanando. Io sono al centro della stanza. Levi... sei davanti alla porta. Vieni avanti ed io sono lì.

- Ok. Ci sono.- i suoi passi si fermarono davanti a me, ed allora sentii che si accucciava.

Venne più vicino un po' alla volta, le sue mani seguivano le catene per orientarsi.

Ed alla fine era di fronte a me, sentivo il suo respiro caldo, le mani sui miei polsi:- Non pensavo sarebbe stato tanto difficile.- sussurrò.

Io risposi sempre sotto voce:- Beh. Ora sei qui. Che facciamo?

- Dimmi di te. Sempre che ti vada bene.

Mollò i miei polsi e si sedette, evidentemente aspettando che dicessi qualcosa. Per me non era un problema parlarne, in fondo era tutto passato ormai.

Faceva male, certo. Ma era passato.

Cercai di nuovo le sue mani nel buio e lui, intuendo le mie intenzioni, la prese tra le sue:- Se non vuoi non è un problema.

Presi un respiro profondo:- No. Tu l'hai fatto. Ora tocca a me.

Mio padre dottore, mia madre paziente. Si sono conosciuti così, quando sono nato sembrava tutto normale, ma intorno ai miei sei anni qualcosa andò storto.

Di notte me ne andavo di casa e la mattina mi trovavano in posti che non conoscevo, senza sapere come ci ero arrivato.

Inizialmente mi spostavo e basta, l'anno dopo mi trovarono al piano più alto di un condominio abbandonato, circondato da cadaveri, in ginocchio al centro della stanza piena di sangue.

E... avevo le mani sporche di quella sostanza, e le fissavo.

Quel giorno mi portarono qui.-

Silenzio. Per un attimo ci fu solo quello.

Poi Levi sussurrò:- Sei nella stanza e non lo sai, ti guardi le mani...

Io conclusi con lui:- ...Puf! Sono sporche di sangue.

La sua presa aumentò, proprio sulle mie mani, ed un momento dopo sentii ancora la sua voce:- D'accordo. In un solo giorno abbiamo detto abbastanza. Dormi, ora.

- Non so se...- cominciai.

Di solito non dormivo quasi mai, ero abituato a non farlo, ma lui mi interruppe:- Stanotte dormirai.- Si alzò e lo sentii allontanarsi, per poi tornare indietro e sedersi ancora di fronte a me.

All'improvviso qualcosa di morbido mi arrivò in faccia, strappandomi un sussulto:- Cosa...?

- È solo un cuscino, Moccioso.

Sgranai gli occhi contro l'ombra, tastando la superficie soffice del cuscino. Perché avrebbe dovuto portarlo a me? Che senso aveva se di solito lo usava lui?

La risposta arrivò in fretta, quando prese il cuscino dalle mia braccia e avanzò. Sentii che lo metteva a terra, dietro di me, e poi la sua mano sul mio petto:- Forza distenditi se vuoi che riesca a capire dove mettermi.

Improvvisamente sentii le guance in fiamme. Aveva detto... "dove mettermi"?

In significava che voleva davvero stare lì e dormire con me.

In qualche modo riuscii a balbettare:- M-ma Levi... prima n-non intendevo che dovevi stare qui tutta la n-notte.

E lui rispose, deciso:- Ho il tono di uno che voleva sapere cosa intendevi?

Sospirai e mi distesi, stando attento che le catene non mi si attorcigliassero attorno a braccia e gambe, così, dopo un attimo, sentii le mani di Levi perquisire il pavimento per trovare i miei controrni e poi il suo corpo tiepido stendersi accanto a me.

Pensai che, se ci fosse stata la luce, al posto della mia faccia ci sarebbe stato un incendio in miniatura.

- Notte Moccioso.

- Notte.- dissi sforzandomi di sembrare normale e non una ragazzina in preda ad un attacco di panico sapendo che la sua crush era distesa di fianco a lei.

E così mi addormentai, stranamente in fretta, mi addormentai.

La prima volta dopo anni che riuscivo a dormire in pace.

Era talmente incredibile che non mi sembrava reale, quasi quanto non mi sembrava reale essere uscito dalla mia camera, quasi quanto non mi sembrava reale che qualcuno si preoccupasse per me.

Quasi quanto non mi sembrava reale che Levi si rifiutasse di farmi del male.

Quasi quanto non mi sembrava reale che lui fosse lì vicino a me.

Quasi quanto non mi sembrava reale che non volessi mandarlo via.

Forse un giorno l'avrei ucciso.

Magari, alla fine, Hanji avrebbe trovato una soluzione.

O forse mi sarei ucciso da solo.

Pensai che potevano succedere tutte queste cose, e pensai che, ormai, nella mia "vita" c'era solo lui, di veramente importante.

C'era una parola per descrivere quello che provavo.

Un concetto importante che riassumeva il casino che facevo guardandolo.

Ma mi sfuggiva.

Quella parola non mi era mai appartenuta.

Non avevo mai capito cosa volesse dire.

Non la ricordavo nemmeno.

Psycho || Ereri ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora