cap.32

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27 gennaio, 20.18

Levi

La pressione delle dita di Eren sulla mia mano era come un indicatore di ciò che provava, ed al momento stringevano come se io fossi un anti stress.

Aveva spiegato brevemente cosa aveva visto, e quel ricordo doveva averlo scosso più del previsto.

I suoi passi erano nervosi e forse incerti, ma la cosa più irritante era che non potevo fare altro se non stringergli la mano a mia volta e reggere l'unico ombrello che avevamo sopra le nostre teste.

Eppure, ero sicuro che ne avessimo avuti tre, quando eravamo partiti.

Appena ci trovammo davanti alla vecchia casa di Eren, lui si fermò, con lo sguardo fisso sulla porta sbarrata.

Mi avvicinai a lui, dicendo:- Forza, Eren. Puoi farlo. Entrambi possiamo.

Le sue iridi verdi si incatenarono alle mie:- E se... Non ci fosse nulla? Nessuna spiegazione, nessun antidoto?

- E se non ci sarà nulla andremo avanti comunque, insieme. Te l'ho promesso, no?

Eren socchiuse appena gli occhi, sfiorando le mie labbra con le sue, in un gesto leggero quanto pieno di significati. Di parole che non avevano bisogno di essere dette.

So che ci sarai sempre, so che non mi lascerai.

So che entrearai in quel seminterrato come mio amico, come guerriero, come umano, come angelo e come demone.

Ma soprattutto come colui che mi ama e mai smetterà di farlo.

Tu ci sarai.

Ed io ci sarò.

Ti amo Levi.

Ci separammo mentre la Quattrocchi, ancora dietro di noi, diceva:- Ehi, piccioncini, dovreste proseguire prima che Kenny faccia in tempo ad arrivare.

Eren annuì, io roteai gli occhi ed in seguito avanzammo sul vialetto di mattonelle scheggiate costeggiato dalle erbacce incolte, fino ad arrivare davanti alla porta coperta da due assi di legno, inchiodate allo stipite.

Eren fissò la porta un momento, poco prima di riuscire a sussurrare:- Io... Non ho le chiavi.

Feci scorrere lo sguardo sull'ostacolo che ci trovavamo davanti: il legno, notai provando un'ondata di sollievo, era marcio e le viti arrugginite.

Passai l'ombrello ad Eren, allungando un braccio per spingerlo all'indietro, mentre rispondevo:- Non è un problema.

Bastò un calcio ben assestato ed una spallata sola contro la porta dalla vernice scrostata, per farla cadere dai cardini, dentro la casa.

L'ingresso venne illuminato dall'alone di luce proveniente dalla soglia, il resto restava inghiottito dall'ombra.

Il pavimento era coperto da un tappeto di polvere e qualche foglia scivolata dentro per caso.

C'era un silenzio soprannaturale, rotto solo dalla pioggia che batteva sulle tegole consumate e scheggiate.

Vi furono pochi secondi in cui nessuno di noi disse nulla, probabilmente aspettando che gli altri parlassero.

E fu così.

Qualcuno, in effetti, parlò.

Ma non eravamo noi.

Eren

Improvvisamente una voce provenne dall'ombra.

Aveva una strana nota familiare, ma non riuscii a ricollegarla a qualcuno da subito, quando disse:- Di solito si usa bussare, o almeno scassinare la serratura, ma scardinare l'intera porta sembra davvero... Eren?!

Mi sentii gelare al suono del mio nome, detto da quella voce.

E fu ancora peggio quando dall'ombra emerse la figura sbiadita di Armin, in tutti i suoi cinque anni, ancora con indosso il pigiama azzurrino chiazzato di macchie scarlatte.

Lo fissai incredulo per una manciata di secondi, poco prima di riprendermi dallo shock iniziale ed esclamare a mia volta:- Armin! Tu... Cosa...?

Lui si avvicinò, entrando nella luce della porta.

E mentre camminava con i piedi scalzi non produceva nessun suono, la polvere non si spostava di nemmeno un millimetro al suo passaggio.

Si fermò di fronte a me, mentre un angolo della sua bocca si arricciava verso l'alto:- Era ora. Cavolo, erano tredici anni che aspettavo, e poi si è anche rotto l'orologio, e la roba in frigo a cominciato a marcire ed era uno spettacolo orribile, credimi. La cosa migliore di questi anni è stata terrorizzare i bambini che venivano a curiosare in giardino. O quella volta che c'è stato un terremoto ed i libri sono caduti dallo scaffale e l'aria della finestra girava le pagine ogni tanto. Ti giuro che temevo che avrei passato l'eternità a ricorrere scarafaggi e a saltare sul tuo letto.

Non riuscii a trattenermi dal dire la prima cosa che mi passò per la testa:- Tu saltavi sul mio letto senza di me?

Armin rise, ma venne interrotto bruscamente da Levi che chiese, giustamente, delle spiegazioni:- Oi Moccioso. Smetti di parlare a vavera e passa alle spiegazioni. Sai che siamo di fretta.

Armin replicò:- Veramente, avrei diciotto anni, anche se l'apparenza inganna.

Levi inarcò un sopracciglio, mentre io tentavo di trattenere una risata. In fondo Armin non sapeva che Levi dava del moccioso anche a me.

Sotto lo sguardo confuso di Armin, ridacchiai, spiegando:- Veramente il "moccioso" della situazione sarei io. Ma questa è una lunga storia.

Lui mi guardò, basito, mentre io proseguivo:- Sono stato internato in un ospedale psichiatrico per tutto questo tempo, poi ho conosciuto Levi- accennai al mio ragazzo- grazie ad Hanji- e indicati la donna alle mie spalle.

- Nel frattempo una serie di annedoti hanno portato il demone a prendere il sopravvento su di me e così ha praticamente distrutto l'ospedale. Alla fine, mentre aspettavamo di essere trasferiti, abbiamo scoperto che mezzo paese mi cerca per uccidermi e sono giudati da un tale che pare conoscere Levi. Ehm... E così siamo scappati per venire qui, dopo aver capito che il mio passato era la chiave per capire il demone.

Lo sguardo di Armin si rabbuiò all'improvviso:- E così... Ci è riuscito.

- Eh?

- Tuo padre. O meglio, il demone stesso è riuscito a entrare dentro qualcuno.

- Il... Demone stesso?

- Già. Credo sia arrivato il momento di completare il puzzle, Eren.

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