cap.17

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12 gennaio, 19.25

Eren
Levi.

Così si chiamava.

Per un tempo che mi parve interminabile rimasi a fissare lui, in ginocchio sull'entrata, che non si muoveva.

E, piano piano, a recuperare informazioni nei ricordi confusi e offuscati che mi erano apparsi in testa al suono del suo nome.

Ricordai il calore dell'abbraccio più sincero della mia vita, ricordai la luce del sole e ricordai il sapore di cioccolata che tanto mi era mancato.

Ma ancora non riuscivo a capire come e perché fossimo finiti in quella situazione.

Fino a quando, Levi si alzò.

Stringeva i pugni, le gambe gli tremavano appena, ma quando punto quegli occhi grigi affilati nei miei, il suo sguardo era saldo.

Sicuro, ma allo stesso tempo pareva che stesse guardando qualcosa di più che importante.

Sentii quello sguardo arrivarmi dritto al cuore, come se avesse trapassato lo schermo, ed allora la sua voce mi avvolse di nuovo:     -Eren, lo so che forse non è il momento più appropriato per parlarne, ma è la nostra unica possibilità, quindi ascolta.

Mi bloccai, ed ascoltai, come mi aveva detto.

Ma una specie di vibrazione rimbombò tutto intorno a me, plasmandosi in una voce raschiante:- Non ti sente, Levi. Non vuole farlo.

Lo sguardo di Levi luccicò:- Lui mi sentirà.

Allora capii, ricordai.

Ricordai le catene, ricordai la pietra fredda, ricordai le lacrime versate ogni mattina, ricordai le notti passate in quel tunnel dell'orrore e i flashback delle mie mani insanguinate.

Ma ricordai anche la mia mano che indicava l'angolo più lontano della stanza, ricordai quella brioche, ricordai le notti di chiacchiere, ricordai le mattine in cui Lui mi aveva portato fuori.

Levi continuò:- Abbiamo iniziato con il piede sbagliato, fin da subito. Ed io che sono un grandissimo idiota ho distrutto tutto appena le cose si stavano riaggiustando.

Sentii una strana sensazione percorrermi ogni singola vena, un qualcosa che mi diceva che non avrei dovuto starmene lì impalato a fissare lo schermo.

Fece un passo avanti:- Ho passato tre mesi a fissare il vuoto, ma sono sicuro che tu non sia stato meglio. Quindi, volevo solo sapere se ti andava di ricostruire tutto il macello che abbiamo combinato.

Questa volta insieme.-

Insieme.

Quella parola fece scattare qualcosa dentro di me e fu allora che reagii: senza pensarci un secondo mi fiondai ai lati della stanza del cinema, cercando ti trovare un'uscita. Senza però trovarla.

Cercai di pensare.

Insomma, non ero veramente in un cinema, no? E quindi non ero davvero chiuso in una stanza.

E quindi la stanza non esisteva.

Sapevo cosa fare.

Levi.

Improvvisamente gli occhi di Eren brillarono.

Sorrisi.

Sapeva cosa fare.

Il ghigno sadico del demone si smorzò impercettibilmente:- A che gioco state giocando voi due?

Ed allora, incredibilmente, riuscii a sorridere.

Non era propriamente un sorriso di gioia ma era di sicuro un sorriso di vittoria:- Sai, non lo so. Ma stiamo vincendo.

Vidi il demone rabbrividire, incurvando le spalle, mollò la presa sul coltello che cadde a terra con un freddo rimbombo metallico.

Il sorriso sulla sua faccia era mutato in un'espressione confusa:    -Akermann, da quando puoi fare... questo?

Mentre sentivo i muscoli delle spalle rilassarsi, risposi:- Da quando io posso? Forse vorrai dire da quando noi possiamo.

Non rispose.

Per un secondo rimase fermo, così com'era, poi prese aria, annaspando ed una voce diversa sussurrò:- Levi...

Mi sentii esplodere.

Davvero ce l'avevamo fatta? Davvero ero riuscito a tirarlo fuori da là? Davvero ero riuscito a dargli un motivo per combattere? Ma cosa avevo detto...

Eren punto quei bellissimi occhi verdi nei miei, dalle sue labbra fuoriuscì una parola appena udibile:- Insieme?

Sgranai gli occhi.

Era vero. Farlan e Isabel avevano ragione, mi avevano detto di andare da lui, non perché dovessi dargli una ragione per combattere.... ma perché la sua ragione per combattere ero io.

Cadde in avanti, ma mi lanciai in tempo per prenderlo a stringerlo a me sussurrandogli in un orecchio:- Sì, Moccioso. Insieme. È una promessa.

Lui spostò la testa per guardarmi negli occhi ed esalò un:- Fa male...

Due perle trasparenti solcarono le sue guance, non riuscii più a stare a guardare:- Ehi, va tutto bene ora, passerà...

Passai i pollici sui suoi zigomi fermando il flusso di lacrime e mi resi conto che era dannatamente vicino, ad appena qualche centimetro da me.

Lui chiese, nel silenzio che si era creato:- Come si dice? Quella parola... quando qualcuno ti fa stare bene...- la frase venne fuori a scatti, ma capii quello che voleva dire.

Capii e fu come se qualcuno mi avesse appena sparato in testa ed io fossi sopravvissuto.

Feci scorrere le mani dietro al suo collo e mi avvicinai, solo quel poco che bastava...


























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:D prossimo capitolo :D

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