Addio detective

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Fece gli ultimi tratti a quel bel disegno ritraente il suo compagno di classe, non che il suo primo vero amico e forse... Sì, forse anche il suo primo amore. Ammirò quel disegno per un po', le era venuto proprio bene.

Le scappò un sorriso, uno di quelli spontanei, di quelli che le capitava raramente di avere da quando ne aveva memoria e tutti quelli che si ricordava erano avvenuti proprio grazie a lui. Non passò molto che però quel sorriso sparì, lasciando di nuovo quell'espressione seria e, forse, anche preoccupata. Il suo pensiero era volato lontano, dovunque si trovasse lui. Pregava con tutto il cuore di rivederlo. Doveva tornare, non poteva perdere. Doveva tornare sano e salvo o non se lo sarebbe mai perdonata. E lei doveva trovarsi pronta per il suo ritorno.

Fece un grosso respiro, piegò in due il suo disegno e lo infilò nello zaino arancione, che era già pieno, di libri, quaderni e fogli, forse un po' troppo per una studentessa delle elementari. Se lo mise in spalla e uscì dall'ufficio di Shuichi Akai per dirigersi verso l'ascensore.


«Boss, non la trovo da nessuna parte...» disse nervoso l'uomo rivolto a un apparecchio telefonico.

«Pazienza, farai il lavoro da solo! Voglio quell'uomo morto, il prima possibile!» rispose qualcuno dall'altro lato del cellulare.

«Ok, boss!»

Dopo aver chiuso la chiamata si diresse verso l'ascensore.


«Heiji finalmente arrivò di fronte all'agenzia Mouri. Salì le scale, che davano sulla strada e, arrivato alla prima porta, quella dell'ufficio dell'investigatore, suonò il campanello.

Dopo poco un Kogoro trasandato gli venne ad aprire.

«Scusa Heiji, ma ora sono un po' impegnato. Comunque accomodati pure!» disse velocemente per poi risedersi alla scrivania.

Heiji capì che si stava guardando le corse dei cavalli. All'inizio si chiese com'era possibile che fosse così tranquillo, poi ricordò che giorno era. Che razza di idiota. Era lunedì. A quell'ora sia Ran che Conan erano a scuola, come aveva fatto a non pensarci?

E poi accadde...

Vide un luccichio dall'edificio di fronte. Capì subito cosa stava succedendo, ma non ebbe il tempo di dire niente se non urlare.

«Detective Mouri giù!»

Si lanciò verso di lui, ma il proiettile di Korn fu più veloce. In pochi millesimi di secondo raggiunse la testa dell'investigatore privato.

Non fu una morte sanguinaria. Il proiettile gli perforò la tempia, invece che la nuca, visto che si era girato quando Heiji l'aveva avvertito. Si accasciò subito sulla sua sedia di fronte al ragazzo che era rimasto completamente scioccato.


Shinichi riaprì gli occhi. Dovette, sbattere le palpebre un paio di volte prima che quella fastidiosa patina nebbiosa sparisse dalla sua vista. Si trovava ancora nell'ufficio vuoto del secondo piano.

Era ancora un po' stordito, ma non poteva permettersi di aspettare che si riprendesse. Prese il cellulare dalla tasca interna della sua giacca. Sul display erano ancora segnate le chiamate di Heiji, a cui non aveva risposto. Premette solamente il tasto verde del telefono.


Il ragazzo dalla pelle scura era ancora lì, completamente sconvolto, quando il suo cellulare squillò. Con mano tremante, senza riuscire a staccare gli occhi dal cadavere del detective prese il cellulare dalla tasca. Appena vide il nome sul display, fu come riscosso da quel tremendo incubo, come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Si allontanò dalla finestra, mettendosi in un angolo, poi rispose.

«Kudo dove diavolo sei?!» disse.

Il ragazzo sgranò gli occhi quando sentì l'amico rispondere. Non solo sembrava stanco, come se fosse nel bel mezzo di qualcosa di davvero pericoloso, ma usava anche la sua vera voce, quella da diciassettenne.

«Hattori, abbiamo un grosso problema...»

«Lo dici a me? Sono venuto a Tokyo per cercarti e...»

«Hattori, devi farmi un favore. Devi andare a casa mia e dire a Subaru Okiya che Ran ed io siamo al covo dei Man In Black...»

«Tu... Cosa?!»

Il ragazzo dalla pelle scura era sempre più sconvolto.

«Lo so... Mi dispiace non averti avvisato prima... Ma è successo tutto all'improvviso stamattina ed ora non ho il tempo di spiegarti...»

«Ok ok... ma prima di staccare la chiamata dovresti sapere una cosa...»

«Cosa?»

«Un... un cecchino dell'organizzazione ha... ha appena fatto fuori Kogoro davanti ai miei occhi...» rispose con la voce che tremava.

«Che cosa?!»

L'urlo di Shinichi risuonò in tutto l'ufficio vuoto, ed anche attraverso l'apparecchio telefonico fino ad arrivare all'orecchio di Heiji.

«Scusami io...»

«Hattori, allontanati da lì e corri a casa mia... Per favore... Il più in fretta possibile. Se quelli scoprono che c'era un testimone non esiteranno a farti fuori.»

«Lo so benissimo ma...»

«Non puoi fare niente per lui... Tanto Ran è qua... Non si accorgerà di niente e per ora penso sia meglio non dirglielo...»

«Non siete insieme?»

«No... E la devo ritrovare... Allontanati da quel luogo e fa quello che ti ho detto... Ci sentiamo dopo!»

Dopodiché Shinichi chiuse la chiamata, perché il ragazzo iniziò a sentire il suono della linea libera.

Chiuse anche lui, rimise il telefono in tasca e, facendo attenzione a rimanere al bordo del muro in modo che non potesse essere visto, si avvicinò alla vetrata per poi abbassare la tendina. Sì forse era un rischio, ma non poteva permettere che qualcuno vedesse l'uomo morto, perché poi sarebbero sorti problemi.

A quel punto, prese le chiavi dell'ufficio dalla scrivania ed uscì di corsa chiudendosi la porta a chiave alle spalle.


Il biondo attraversò la porta con aria disinvolta, per poi chiudersela alle spalle facendo un giro di chiave.

«Finalmente sei arrivato...» disse una voce nell'ombra.

Lui sorrise compiaciuto.

«Non credevo di esserti mancato così tanto.»

«Più di quanto immagini!» disse avvinghiandosi a lui e baciandolo appassionatamente.

L'uomo sorrise ancora. Il labbro ferito gli faceva male ad ogni movimento, ma non gli importava. Rispose al bacio e ricambiò quell'abbraccio passionale. Le sue mani, infatti, scesero subito ai suoi glutei palpandoglieli.

Non c'era bisogno di preamboli o parole tra i due. La loro passione era qualcosa che ormai andava da sola, come i loro vestiti che ben presto si ritrovarono in un angolo della stanza, buttati a terra.

Le afferrò il seno con irruenza facendola gemere, mentre continuava a baciarla, iniziando anche a morderle il labbro inferiore.

Poi senza nessun preavviso lei afferrò il suo membro e se lo infilò dentro.

Da quel momento in poi, l'eccitazione dei due non fece altro che aumentare. Lui accelerava sempre di più i movimenti e lei gemeva sempre più forte. Finché entrambi non arrivarono al culmine.

Rimasero lì, abbracciati l'uno all'altra, in quell'ufficio scuro e spartano, ansimando e dandosi piccoli baci.

«Diavolo... farlo con te è sempre una libidine...» disse lui in un sussurro.

Kokoro no uragiriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora