Dottore

191 2 0
                                    

I tre agenti entrarono un po' nervosi nell'ufficio del detective Kogoro. Si aspettavano che sarebbe stato uno spettacolo orribile da vedere, soprattutto perché comunque si trattava di un loro grande amico, che li aveva aiutati nei casi più difficili e che avevano imparato a conoscere.

La reazione infatti fu proprio quella che si aspettavano. Appena aperta la porta, videro quello scempio e rimasero parecchio turbati.

Il corpo del detective era ancora seduto sulla sedia girevole, afflosciato e con un'impressionate ferita alla tempia, gli occhi ancora spalancati. Il sangue era schizzato ovunque e aveva anche iniziato a colare sulla sedia. Dal lato opposto opposto dell'ufficio c'era ancora il buco del proiettile, con quel letale cilindro di metallo ancora conficcato dentro.

Sato fece un respiro profondo e il fastidioso odore di sangue le inondò le narici, facendole salire un conato di vomito che però trattene.

«Bene, mettiamoci a lavoro. Prima finiamo meglio è.» disse.

«Sì.» risposero all'unisono Chiba e Takagi al loro superiore.

Dopodiché il poliziotto robusto si mise a scattare delle foto sulla scena del crimine, da archiviare poi in commissariato.


«Siamo arrivati...» sussurrò Vermouth.

Non ebbe neanche il tempo di finire la frase che la donna uscì da una delle porte che davano sul corridoio. Una donna bellissima dalle curve mozzafiato e dall'indole spietata, che imbracciava un fucile.

Shuichi conosceva bene quella donna.

«Rye... È un piacere rivederti!» sorrise perfidamente la donna.

«La cosa non è reciproca, Lilith...» rispose l'uomo, rivolto al boss dell'organizzazione che per anni aveva cercato di annientare.

«Credo di immaginare per quale motivo tu sia qui...»

«Per decretare la parola fine alla tua follia!» disse deciso l'agente federale.

«Lo sai vero che io punto ad ucciderti, mentre tu come al solito vuoi solo sbattermi dentro?»

«Non esserne così sicura. Ho quasi ucciso Gin, nessuno mi vieta di far fuori te. Posso sempre dire ai miei superiori che l'ho fatto per legittima difesa.»

«Shuichi!» lo rimproverò la platinata vicino a lui.

L'uomo alzò gli occhi al cielo, scocciato.

«Eh va bene! - sospirò, per poi imbracciare il fucile. - Forza, spara. Tanto so che non ti arrenderai senza combattere.»

I due si misero uno di fronte all'altra. Sapevano bene che non era come avere una pistola, sapevano che chi avrebbe sparato per primo avrebbe ucciso o fermato il proprio avversario. Era un po' come quei film western in cui lo sceriffo e il bandito si affrontavano in una via polverosa di quelle città antiche in mezzo al deserto.

Shuichi lo sapeva bene, per questo motivo cercava di non dare a vedere il suo nervosismo. La donna che aveva di fronte era spietata e insaziabile, la conosceva bene e sapeva che se avesse esitato anche solo qualche secondo lei ne avrebbe approfittato. Per questo la sua tensione era al massimo.

Una gocciolina di sudore gli scivolò sulla tempia. Puntò il fucile e si leccò le labbra, pronto a colpire.

Due spari riecheggiarono nel corridoio.


«Amuro... Amuro devi rimanere sveglio!» disse Ran con tono preoccupato.

A quelle parole Camel spinse sull'acceleratore, mentre Heiji e Shinichi si voltarono verso il biondo, che stava ancora ansimando.

Kokoro no uragiriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora