Stato d'allerta

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«Qualsiasi cosa accada ricordatevi, non voglio vittime! Dobbiamo catturarli vivi, se fanno troppa resistenza, solo allora potete sparare per uccidere. È tutto chiaro?» disse James Black, al folto gruppo di agenti che si trovava proprio dentro il magazzino abbandonato.

Tranne lui, Akai, Jodie e Camel, che erano in borghese, indossavano tutti la divisa, col gilet blu scuro e l'enorme scritta FBI in bianco, sotto di esso portavano il giubbotto anti-proiettili e avevano tutti gli scudi anti-sommossa e, a quelle parole, strinsero le pistole, tutti tranne Shuichi, che si mise il suo fucile a tracolla e premette il tasto dell'ascensore.

A quel punto James si rivolse a lui, a bassa voce.

«Questo vale anche per te.»

«Lo so... - disse lui - Per chi mi hai preso? Quei vermi striscianti non meritano neanche la mia rabbia.» rispose lui con tono freddo, ma si capiva che ancora qualcosa lo disturbava nel profondo.

Ed era così. Era da un bel po' che aveva visto Sera iniziare a frequentare Ran e le sue amiche. Aveva resistito con tutto se stesso a non rivelarle che era ancora vivo e che le era vicino, soprattutto quando aveva saputo che lei lo stava cercando. Il momento peggiore era stato quando aveva visto Vermouth che la stordiva nel corridoio del Bell Tree Express. Non tanto per quell'azione, sapeva bene che la donna l'aveva fatto per salvarla dal caos che si stava creando sul treno. Quello che l'aveva sconvolto era stato quando mentre lui la poggiava sul sedile di uno scompartimento vuoto lei aveva biascicato il suo nome, ma non il suo nome intero, no, l'aveva chiamato come lo chiamava quando era piccola, l'aveva chiamato Shu-nii. In quel momento il suo cuore si era fermato e per un attimo aveva pensato di sedersi lì vicino a lei finché non si fosse svegliata per poi raccontarle tutto. Fu un attimo, fino a quando la lucidità non tornò, aveva una missione da compiere, doveva proteggere Shiho da Amuro, allora non poteva sapere che anche il nuovo membro dell'organizzazione stava recitando una parte per il suo stesso motivo.

Adesso, però, l'aveva persa. L'aveva persa per sempre, non sarebbe più tornata, e la cosa peggiore era che se n'era andata senza sapere che suo fratello era ancora vivo.

Proprio in quel momento le porte metalliche dell'ascensore si aprirono e il primo gruppo di agenti entrò nell'ascensore con Akai.

«Stai attento...» gli disse Jodie con aria preoccupata.

Lui si sporse fuori dall'ascensore le prese il viso con una mano e la baciò. Poi si allontanò subito e le porte dell'ascensore si chiusero.


Il detective del Kansai salì sul taxi per l'ennesima volta, questa volta la sua destinazione era nella periferia di Tokyo. Attraverso gli occhiali che aveva sul naso, avrebbe guidato il tassista.

Ordinò di partire, dicendo che aveva anche una certa fretta. Così il tassista partì sgommando dirigendosi velocemente verso la destinazione richiesta.

Proprio quando l'auto partì, il cellulare del ragazzo squillò. Con un sbuffo guardò il display e, assumendo un'aria scocciata, rispose al telefono.

«Dove diavolo sei?» sentì urlare dall'altra parte, prima ancora che potesse parlare.

«Kazuha non è il momento, ne riparliamo dopo.»

«No, ne parliamo ora! Sono ore che provo a chiamare tutti e nessuno mi risponde. Prima Ran, poi te. Mi vuoi dire cosa diavolo sta succedendo?»

Doveva dirglielo, continuare a mentire sarebbe stato inutile, soprattutto in una situazione del genere. Prese l'estremità del vetro scorrevole che divideva i sedili posteriori da quelli anteriori, tirandola e chiudendosi nel cubicolo posteriore, solo a quel punto, parlò.

Kokoro no uragiriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora