Tre mesi dopo

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Shinichi era seduto alla scrivania dello studio.

Subito dopo che aveva ricevuto le chiavi si era dato da fare in modo che il lavoro dell'ex proprietario di quell'ufficio non fosse andato sprecato. Aveva lasciato tutto l'arredamento com'era, troppi ricordi lo legavano a quei divani marroni, a quella scrivania in metallo. L'unica cosa che aveva fatto era togliere gli adesivi bianchi dalla vetrata, a cui aveva dovuto cambiare un vetro che si era forato nel tragico evento e sostituire il piccolo televisore sulla scrivania con un portatile.

Dopo la scuola andava direttamente lì e ci rimaneva solitamente fino alle sei di sera, ricevendo clienti di ogni genere.

Anche in quell'anno di assenza sotto le sembianze di Conan non aveva perso la sua notorietà ed appena si era sparsa la voce che Shinichi Kudo era tornato in carreggiata come vero e proprio investigatore privato, molte persone, per la maggiorate ragazze, si erano rivolte a lui per ogni tipo di caso, dal trovare il gatto di famiglia fino al risolvere un caso di omicidio che la polizia stava per archiviare.

Quel giorno aveva finito di risistemare tutte le sue cartelle coi i documenti e gli appunti dei casi che stava seguendo e, visto che il suo stomaco iniziava a brontolare, decise di posare tutto nel cassetto ed andarsene, ma proprio in quel momento qualcuno suonò al campanello dell'agenzia.

Il ragazzo sospirò, osservando l'orologio, ma sì, in fondo erano ancora le sei e dieci, poteva fare uno strappo alla regola e ricevere un'altro cliente.

«Avanti.» disse con tono cordiale.

Per quei millesimi di secondo che passarono, dal momento in cui pronunciò quella singola parola e la porta che si apriva, facendo sbucare la sagoma di una persona, il ragazzo si chiese chi poteva essere il suo prossimo cliente e che cosa volesse da lui. Si divertiva sempre a provare ad immaginare le varie ipotesi. Spesso poi, a seconda dell'aspetto della persona in questione, riusciva anche a dedurre in anticipo cosa fossero venuti a chiedergli.

La prima cosa che vide fu una sagoma snella e dalla chioma lunga da dietro il vetro smerigliato che occupava metà della porta. Una donna. Poi sbucò una scarpa rossa, elegante, ma senza un tacco pronunciato. Giovane e decisa. Subito dopo la seguì la gamba, snella e soda. Atletica. Il secondo passo rivelò completamente la ragazza e Shinichi rimase immobile a guardare chi si trovava davanti.

Capelli castani che scendevano dolcemente sulle spalle, occhi violetti che lo scrutavano con uno sguardo indecifrabile, che vagava dalla felicità alla tristezza, dal rancore all'amore. Un vestito verde scuro la copriva interamente dalle spalle fino alle ginocchia, un vestito che sembrava stringersi un po' di più sul ventre. Un ventre un po' più gonfio di come se lo ricordava. Un ventre che...

Spalancò senza riuscire a pronunciare una singola parola.

«Ciao Shinichi...» sorrise lei, stringendo convulsamente la cinghia della borsetta rossa che portava in spalla.

Ingoiò la saliva e si obbligò a parlare. Era tre mesi che non la vedeva. Il giorno dopo la veglia funebre, andando a scuola, Sonoko gli aveva detto che aveva cambiato classe perché aveva bisogno di stare lontano da lui.

«Ran tu... Tu...»

Niente. Non riusciva a parlare. Tutte le parole gli si erano bloccate in gola. Mille domande gli ronzavano nella testa, mille domande che avrebbe voluto fare alla ragazza che era alla soglia di quello che da tre mesi era il suo ufficio, ma tutte queste domande non riuscivano ad uscire.

Ran si avvicinò, passando la mano sui divani in pelle marrone e guardandoli con malinconia, poi si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania e aprì la borsetta uscendone un cartoncino d'avorio e porgendolo al ragazzo.

Kokoro no uragiriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora