Capitolo 27. Distacco

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"Avevi ragione sul mio conto".

Una stretta mi afferrò il petto.

Tutto l'affetto, la luce, il calore degli occhi e della voce... erano spariti per lasciar posto a qualcosa di sconosciuto e incolore.

Senza averli evocati, i ricordi dei giorni passati bussarono ancora alla porta della mia mente, con più forza, finché non irruppero potenti, dolorosi.

Ripensai in pochi attimi a quando avevo aperto gli occhi dopo il salvataggio alla cascata e lo vidi per la prima volta... a tutte le sue gentilezze... In un lampo, rievocai ogni dettaglio dei suoi sorrisi, quando ero saltata giù dal carro e mi aveva afferrata prima che mi facessi male, quando avevamo riso per via di Bianchina, quella notte in cui conversammo davanti alla scacchiera, quando ci eravamo rincorsi come bambini con un secchio colmo d'acqua, il pomeriggio spensierato mentre giocavamo con dei bastoni e una palla. Poi quando lo avevo raggiunto nei pascoli del bestiame e, sull'amaca, mi aveva fatto ascoltare il respiro degli alberi... quando mi ero confidata con lui totalmente, sulla collina intrisa del suo profumo, e aveva asciugato le mie lacrime tenendomi stretta.

Rammentai i bei momenti sulla spiaggia, la felicità quando avevo risentito la sua voce nel cuore della notte sotto al balcone di camera... quel primo bacio... quando mi aveva salvata dai brutti ceffi, quando lo raggiunsi nel mio Piccolo Paradiso, il suo sguardo quando mi aveva rivisto e disse di amarmi... quando anche lui si era aperto con me, confidandomi i suoi più incredibili e reconditi segreti.

D'un tratto fu come se tornassi alla realtà con una consapevolezza diversa.

«No», ribattei determinata. «Stai mentendo».

In un istante intravidi qualcosa: stupore, e altro che non riuscii a interpretare. Ma subito dopo la sua espressione divenne ostile, così come la voce bassa e graffiante:

«Finora ti ho presa in giro. Ti ho usata e basta». Scandì bene, sostenendo il mio sguardo, tagliente. «Ammetto di essermi sentito un po' solo, annoiato più che altro, cadendo nella quotidianità... e ho approfittato della tua compagnia, dei tuoi sentimenti, solo perché mi andava di farlo».

Sembrava del tutto franco.

«Perciò vai avanti. Vedrai che ti passerà».

Era atroce. Stavo per cedere ma non lo avrei fatto perché, sebbene fossi attraversata da un mare di emozioni, ciò che provavo più di tutto e nonostante tutto, con ogni briciola di me stessa, era sempre la paura: sempre la stessa paura di perderlo. Paura di perdere il mio Will, anche se quella di fronte a me pareva tutta un'altra persona.

Non posso dire di non avergli creduto nemmeno per un attimo, ma non gli credevo. Preferivo pensare che lo stesse facendo per farmi soffrire il meno possibile nel caso non ce l'avesse fatta.

Ma proprio da questo capii quanto mi amasse: pur di evitarmi un dolore così grande come sarebbe stato per me la sua perdita, era disposto a buttare via la felicità che gli rimaneva e farsi dimenticare.

Davvero pensava di convincermi? Non si rendeva conto che ormai non c'era modo di tornare indietro?

La voce ferma e decisa che uscì dalle mie labbra mi stupì. «Se avessi voluto solo usarmi, avresti davvero approfittato di me. Avresti potuto sin dal primo giorno. Hai avuto tante di quelle occasioni... nessuno te l'avrebbe impedito, ma non l'hai mai fatto perché mi ami».

Poche volte ero stata così certa in vita mia.

Il cuore mi batteva forte nel petto mentre attendevo una risposta che non arrivò ma qualcosa arse nei suoi occhi. Voltò le spalle, impedendomi così di vederlo in volto, ma non potei non notare i pugni serrati e i muscoli contratti: li vedevo risaltare sul collo teso e sotto gli abiti, in particolare sotto alle maniche improvvisamente troppo aderenti; sembravano sul punto di lacerarsi.

Rimase immobile, in un silenzio tombale. Non lo sentivo nemmeno respirare. Ero riuscita a zittirlo.

Non potevo fermarmi ora che la mia ostinazione iniziava a fare breccia in quello che ero convinta fosse un muro costruito e forzato, così lottai per ricacciare indietro le lacrime – anche se sentivo che gli occhi mi tradivano. Mi sforzai di rimanere salda come in precedenza ma ne seguì una sorta di supplica:

«Voglio venire con te».

«BASTA!». Lo scatto inaspettato e l'espressione feroce che mi rivolse mi lasciarono senza fiato. Si avvicinò minacciosamente, tanto collerico da farmi tremare. «Non ti voglio più tra i piedi! Lo capisci!? Il tempo che siamo stati insieme mi è bastato, è stato sufficiente!».

Le parole rimbombarono per la stanza in un'eco assordante, ma pure dopo svanite restarono pesanti come macigni, andando molto più a fondo di quanto potessi immaginare. Rimasi impietrita a fissarlo, sperando con tutta me stessa che il ghiaccio nello sguardo e nei lineamenti si sciogliesse, che l'uomo davanti a me tornasse ad essere Will, il mio Will, che mi abbracciasse confessandomi la verità che nel cuore urlava per essere udita. Ma ripartì all'attacco senza concedermi tregua:

«Non voglio più rivederti. Hai una sfilza di pretendenti facoltosi che non aspettano altro che un tuo sì. Trovatelo uno e dimenticati di questa storia. Per quanto mi riguarda, mi scorderò di te non appena avrò messo piede fuori di qui».

Fece spallucce, apparentemente con la più totale indifferenza, ma l'ultima frase l'aveva pronunciata a denti stretti.

Stai mentendo, continuavo a ripetermi. Lo conoscevo troppo bene. Stai mentendo.

«Addio».

Mi si gelò il sangue nelle vene.

Fu come se un sortilegio mi avesse tramutato in pietra.

Prima che riuscissi a controbattere si allontanò a grandi passi, dirigendosi fulmineo verso la porta e sbattendosela alle spalle con un tonfo tanto forte da far vibrare le finestre.

Senza mai voltarsi.

Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora