Capitolo 10. Carezza

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Ero sconvolta.

Dal nulla erano comparse cose che non avrei nemmeno saputo nominare: scritte, forme geometriche, immagini più o meno piccole e colorate.

Lui aveva cercato di spiegarmi ciò che stavo osservando. Mi parlò dell'invenzione dell'uomo di conservare immagini: la "fotografia". Vidi la sua casa, "New York", rimanendo sbigottita. Quel luogo era sembrato davanti a me, lontano e vicino allo stesso tempo. Avevo avuto l'impressione di poterlo toccare, eppure dapprima mi era parso quasi uno spettro. Non riuscivo proprio a capire ciò che vedevo. Poi era apparsa un'enorme fiera ringhiante dal manto variopinto – rossiccio, arancio, giallo-ocra e bianco. Ma più in risalto erano state le particolari strisce nere che le ricoprivano il corpo possente, gli occhi selvaggi e le zanne spaventose.

«Scusa», mi disse delicato all'orecchio. «Alle volte questo affare fa i capricci. Va tutto bene».

Mentre mi accarezzava, il tremore migliorò ma il cuore continuò a battere forte.

«Quello che hai visto non è reale», mi rassicurò. «Non è davvero qui, te l'ho detto. Va tutto bene», ripeté.

Respirai a fondo, provando a calmarmi.

«È ancora lì?», chiesi senza staccare gli occhi dai suoi.

«No».

Mi girai lentamente.

Era rimasta solo la radura nella sua tranquillità, il resto era svanito come per magia.

«Direi di fare basta con questo», disse rimettendosi in tasca il misterioso oggetto.

Annuii. Come faceva a portarselo dietro? Al suo posto avrei avuto paura. Era qualcosa che andava oltre la mia comprensione e mi intimoriva sebbene mi affascinasse. Forse più avanti avremmo potuto usarlo. Per il momento mi era bastato.

Perciò, eccoci qui. Era tornato a coccolarmi e io fra le sue braccia confortanti, frastornata ma decisamente più rilassata. Inspirai il suo profumo, cercando di non pensare. La belva era però impressa nella mente.

«Cos'era quell'animale?».

«Una tigre».

Mi aveva terrorizzata.

«Niente più tigri», sussurrai sulla sua spalla.

«Niente più tigri», promise. «Adesso non pensarci».

«Facile a dirsi».

Ridacchiò. «Sei molto forte. Sul serio».

«Grazie», risposi con il fiato corto.

Restammo abbracciati per un po'. Pareva attento a rispettare i miei tempi, come sempre.

«Quante cose ci sono che ancora non so di te?».

Inarcò le sopracciglia. «In verità ci sarebbe un'altra cosa ma pensavo di... mostrartela più avanti».

Oh Dio.

Cosa poteva esserci ancora?

«Dimmela».

Si schiarì la voce, titubante. «Anche stavolta sarebbe più facile se vedessi. Ma non so se mi riuscirà».

«Provaci», lo incoraggiai.

«Va bene». Si alzò in piedi e si allontanò di una decina di passi, poi si voltò. «Chiudi gli occhi. Non sbirciare».

Mi chiesi cosa avesse in mente, perennemente curiosa, ma lo assecondai.

Il rumore dell'acqua placida nel piccolo ruscello quasi mi solleticava le orecchie e il frusciare del vento era piacevolissimo così come il lieve cinguettio in lontananza.

Sentii la sua carezza calda e leggera sulla mia fronte.

Sorrisi. Non lo avevo udito avvicinarsi.

Riaprii gli occhi credendo di trovarmelo accanto ma rimasi di sasso. Qualcosa non tornava.

Era là dove l'avevo lasciato, con una mano protesa verso di me.

«Non ti ho detto di riaprirli...».

Non capii.

Fece il gesto di accarezzarmi e sobbalzai quando sentii di nuovo il tocco sulla guancia. Ero completamente attonita.

Ritornò, lentamente. Mi sedette vicino – anche se non come al solito – e aspettò la mia reazione, studiandomi.

«È... cioè...». Risata secca. «Dire che è incredibile... pensi sia superfluo?».

Sorrise, scrutandomi con il suo sguardo unico.

«Si sta facendo tardi», mormorò dopo un momento. «Torniamo a casa?».

Casa. Mi piaceva molto quando diceva così. Lo guardai, incredula per ciò di cui ero stata testimone, per quello che mi aveva rivelato, per quanto si fidasse di me; incredula che fossimo insieme, perché alla fine tutto sembrava essere andato per il verso giusto.

Certo avrei dovuto accettare un po' di cosette insolite ma, conclusi, ne sarebbe valsa la pena.

Si alzò, tendendomi la mano. Lo imitai a malincuore: stavo così bene tra le sue braccia.

Una volta in piedi ebbi un'illuminazione. «Aspetta». Quanto appena successo aveva solleticato la mia memoria, aprendo uno dei cassetti che custodivo con cura. «Avrei un'altra domanda».

«Sei insaziabile», scherzò.

«Scusa».

«Ti ho detto che avrei risposto. Dimmi pure».

Sospirai per prendere coraggio. «Ricordo che di notte, dopo la partita a scacchi... No, lascia perdere», conclusi.

«Dopo la partita a scacchi...? Cosa?».

Ero un po' a disagio. Il calore sulle guance non tardò a farsi sentire. «Ecco, dopo che mi fui coricata, mentre stavo per addormentarmi...». Mi fermai, incerta se proseguire o meno.

Attese, paziente.

Decisi di vuotare il sacco. «Quella notte mi parve di sentirti, nel letto, accanto a me».

Silenzio.

Sorrisi, imbarazzata da morire. «Me lo sono sognato o... eri davvero tu?».

Con mio grande stupore constatai di non essere l'unica in imbarazzo... Ridacchiò con un'espressione vagamente colpevole, poi tornò a fondere il suo sguardo con il mio.

«Non ti sfugge niente».

Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora