Capitolo 34. Bannockburn

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Ad un tratto, eccola.

La cavalleria nemica: in alto, sull'ampia collina, scura, in contrasto con i colori chiari e dorati dell'aurora.

Sapevo cosa stava per accadere, più o meno. Non sarebbe stato piacevole. I primi scontri erano già avvenuti, ma niente poteva essere paragonato a ciò che sarebbe seguito a breve.

La tensione nell'aria era talmente densa da poterla sentire sulla pelle, il cuore prese a battermi forte.

Ci siamo, pensai.

Questa sarebbe stata la resa dei conti dopo anni e anni di guerra e morte. Dopo la tragica fine di Uallas, noi eravamo rimasti l'unica speranza di fermare l'avanzata di Edoardo nella nostra terra. Nessun altro avrebbe potuto. Con questa consapevolezza, guardai in faccia il mio destino e affinai lo sguardo per un lungo istante mentre il sole e il vento caldo mi accarezzavano il viso in quella bella mattina di giugno. Probabilmente la mia ultima mattina.

Non avrei saputo dire ad occhio quanti fossero. Ma sapevo che erano molti, molti rispetto al nostro numero, aimè, decisamente inferiore.

Sembrava esserci un gran movimento.

Si affacciarono inizialmente pochi uomini in lontananza: qualche pennacchio, alcuni stendardi ed elmi rilucenti. Ma poi, pian piano, il loro profilo si stese a perdita d'occhio fino a formare un'imponente fila. Una fila sterminata.

Mi sentii mancare il fiato.

Sapevo che di fronte a noi c'erano oltre duemila cavalieri equipaggiati con armatura completa, in modo superiore e nettamente più efficiente rispetto a noi fanti. Non avevamo nemmeno una cavalleria corazzata e quella era senza ombra di dubbio l'armata più grande e micidiale sulla quale avessi mai posato lo sguardo: la leggendaria cavalleria pesante dell'esercito inglese, l'arma di distruzione più potente che esistesse al mondo.

Ed era là, proprio davanti ai nostri occhi. E c'ero anch'io.

Da Capitano qual ero, il mio posto era in prima fila, con i miei uomini, tra i veterani.

Impossibile descrivere le violente emozioni che mi attraversavano da capo a piedi come una lama. Sapevo inoltre che la loro fanteria si aggirava attorno ai quindicimila uomini senza contare le forze di arcieria: un numero tanto smisurato da far fatica a immaginarlo. Mai un esercito così colossale aveva lasciato l'Inghilterra.

Noi eravamo in tutto a malapena novemila.

In quell'attimo pensai che nessuno di noi ce l'avrebbe fatta.

Nessuno di noi ne sarebbe uscito vivo.

Quella sola cavalleria, era invincibile.

Le uniche armi che avevamo per difenderci erano le picche, la nostra formazione a skiltron, la nostra tenacia.

Io e i miei compagni rimanemmo in silenzio, nessuno osava fiatare. Guardavamo, impotenti, quella marea gigantesca schierarsi per preparare l'attacco decisivo, quello che ci avrebbe travolto.

Dopo poco i loro movimenti di assestamento cessarono e un silenzio surreale calò su tutta la valle, intenso.

Stavano per attaccare.

L'attesa pareva interminabile, poi improvvisamente lo udimmo: il segnale.

Quella cavalleria sterminata caricò, scendendo dalla collina, rompendo gli argini come un fiume in piena, venendo dritta verso di noi, inarrestabile. Il mio cuore iniziò a galoppare insieme ad essa e un fremito potente mi gelò il sangue nelle vene.

Strinsi la presa sulla picca. La paura mi colpì così come l'inevitabile senso di impotenza. Avevo la pelle d'oca.

Guardavamo la morte venirci incontro con un fragore assordante di grida, nitriti, metallo, in un vero e proprio terremoto. La terra infatti tremò sotto i nostri piedi in modo sempre più forte a ogni istante che passava.

Ma nessuno si muoveva. Nessuno indietreggiava. Nessuno tradiva. Ognuno era disposto a sacrificare la propria vita quel giorno.

Guardai istintivamente Uilleam poco lontano, il mio migliore amico. Mi aveva preceduto.

Ne avevamo passate tante io e lui. Fin dalla prima battaglia combattuta assieme fianco a fianco, c'era un nostro particolare gesto di incoraggiamento: la mano stretta a pugno sul petto. Lo fece. I suoi occhi apparentemente privi di paura, la mascella più tesa che mai. Risposi a mia volta con lo stesso gesto.

Nessuno dei due avrebbe ceduto fino all'ultimo respiro e come noi i nostri fratelli. Se la Scozia fosse caduta, lo avrebbe fatto con dignità. Saremmo morti con onore.

D'un tratto, nel mio totale stupore, Uilleam avanzò, uscendo di qualche passo dalla formazione, brandendo la picca scintillante verso la morte che gli correva incontro. E urlò il suo grido di sfida.

Il tempo sembrò fermarsi.

Inaspettatamente gli uomini delle prime file risposero, poi quelli delle file retrostanti, poi quelli dietro ancora; finché, sentii l'intero esercito scozzese urlare la sua rabbia e il suo desiderio di essere libero, facendo vibrare l'aria come un tuono. Io stesso mi ritrovai a brandire la picca e urlare a squarciagola mentre la cavalleria continuava ad avanzare, sempre più vicina.

Sì, impossibile descrivere ciò che stavo provando.

Era incredibile.

Con gli occhi ormai lucidi per l'emozione, io e i miei compagni gridavamo il nostro grido di sfida. Il nostro grido di libertà. Nessuno di noi si sarebbe tirato indietro.

E capii che, anche se avessi potuto, non li avrei lasciati da soli.

Capii che non c'era altro luogo al mondo nel quale sarei voluto essere.

Io e gli altri della prima linea raggiungemmo colui che per noi tutti in quel momento non era più solo un comandante, ma un nostro fratello. Anche le altre file ci seguirono, con un boato sordo, fino a che tutta l'armata avanzò come una cosa sola, come un'enorme onda, fissando le picche al suolo, ognuno a proteggere l'uomo accanto.

Non gli avremmo lasciato una vittoria facile. Non ci saremmo arresi senza combattere. Probabilmente, realizzai, non ci saremmo arresi affatto.

Dalla nostra retroguardia arrivò l'ordine di prepararsi allo scontro imminente. Io e Uilleam ci guardammo ancora una volta con sguardo fraterno. Avremmo cercato di stare vicini durante la battaglia. Così ci eravamo detti e non avevo intenzione di venir meno alle mie parole. Guardai dinanzi a me.

La cavalleria stava rallentando visto il terreno melmoso sapientemente scelto dai nostri strateghi per contrastarla, ma nonostante tutto continuava ad avanzare. Era talmente vicina da percepirne lo spostamento d'aria e il pungente odore di cavallo nel vento. Mancava poco all'impatto, sempre meno, ancora meno. Fino a che...

Pensai a Clare. 

Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora