Capitolo 1. Tenacia

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«Vivian, non ho solo visto la freccia. Io... l'ho fermata».

Ci guardammo per un lungo momento, in silenzio.

Impossibile... Probabilmente avevo frainteso.

«Che cosa hai detto?», chiesi con un filo di voce.

Mi ero forse immaginata le sue parole?

Sospirò profondamente. «Non è facile da accettare, tantomeno da comprendere».

In effetti ero abbastanza sbalordita.

Chi era l'uomo che avevo davanti? Non bastava tutto quello che era già successo? Che dopo il tempo passato insieme, certa che fosse un umile abitante delle Highlands, si fosse infine rivelato il Conte in persona dello Inbhir Nis-shire? Non era stata sufficiente come prova da affrontare dato che la mia vera madre era stata assassinata proprio da un Conte e che questo fosse stato il mio peggiore incubo dall'età di otto anni?

«Non avere paura», mi rassicurò.

Realizzai di non averne. Più che altro mi sentivo disorientata, tesa. «Sei un mago?».

Davvero non sapevo più a cosa credere.

«Non esattamente».

Mi lasciò il tempo di riflettere.

«Se non sei un mago... cosa sei?».

Di nuovo silenzio. Mi osservava in quel suo modo ambiguo, sembrava perso in qualche ragionamento.

«È più facile se ci fermiamo qui», disse. Più che un suggerimento sembrava una conclusione.

Realizzai in un attimo che non mi bastava.

«Voglio sapere chi sei. Ti prego».

«Ne sei sicura?».

Decisi.

«Sì».

Gli occhi si fecero distanti. Si passò una mano tra i capelli e sulle labbra spuntò un mezzo sorriso. «Non ero preparato a questo», commentò, più a se stesso che a me. «Ritenevo fosse talmente...» – la fronte si corrucciò mentre cercava l'espressione giusta – «impossibile trovarmi in questa situazione che... non mi sono mai nemmeno preparato un discorso». Un altro respiro profondo. «Sei l'ultima persona che mi aspettassi di rivedere». Lo sguardo scintillò nel mio, intenso. «Cercherò di spiegartelo. Ma non qui».

Tese la mano, concedendomi la possibilità di scegliere.

Lo avrei seguito anche questa volta?


***


Riconobbi lo spiazzo non appena vi entrai. Era lì che ci eravamo incontrati quando lo avevo scambiato per un cacciatore.

Avevamo camminato per un po' nella foresta, battendo percorsi che non conoscevo. Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo alla notte in cui mi aveva portata a vedere la collina ricoperta d'erica, con Inbhir Nis illuminata sullo sfondo. Ripensandoci non era trascorso che qualche giorno da allora, non potevo crederci. Dimostrò quasi lo stesso distacco. Lasciò andare la mia mano non appena trovammo il sentiero ma di tanto in tanto si voltava come per assicurarsi che fossi sempre vicina.

Il vecchio albero di salice era là. Chissà come c'era finito. Sotto vi era quella singolare roccia liscia: sembrava fatta apposta per sostare. In lontananza, il meraviglioso paesaggio dei miei ricordi prese vita così come il grazioso ruscello.

«Ci sediamo? Ti va?», chiese gentile.

Così facemmo.

Si sistemò sulla roccia e presi posto al suo fianco.

«Cercherò di spiegartelo», ripeté. «Non sarà facile. Ma voglio dirti la verità. Anche se sarebbe molto più semplice una bugia».

«Le bugie sono più facili, sì».

Da dove proveniva la mia fermezza?

«Solo che...», esitò. Emise una risata secca, quasi sbuffando, ma non era divertito. «Ho una paura tremenda».

«Di che cosa?».

Mi guardò intensamente. «Non riesco a credere che tu sia qui».

«Nemmeno io». Dietro il tono scherzoso in cui lo dissi ero seria.

Ma se aveva paura lui, forse avrei dovuto averne anch'io? Eppure mi aveva rassicurata. Decisi di essere franca. «Sono in pericolo?».

Si riscosse da chissà quale riflessione. «No», si affrettò a dire. Si sporse verso di me, prendendo lentamente la mia mano nella sua, rovente. Lo sguardo ardeva di sincerità. «Non ti farò del male».

Suonò come una promessa. Gli credei.

Annuii impercettibilmente. «Va bene».

Recuperò una certa distanza. «Anche se non sai che cosa sono?».

Ero tornata, affrontando la più grande delle mie paure. Non aveva ancora capito cosa fossi disposta a fare per lui?

«So chi sei. Mi basta», sussurrai con un filo di voce.

Sospirò.

«John».

Ah già, non era quello il suo nome.

«Volevo dire, Lord Uilleam», mi corressi.

Si accigliò. «Ti prego, non chiamarmi così».

Passò una breve pausa.

«Potresti farmi un favore? Continueresti a trattarmi da John... invece che da Conte Uilleam?».

Lo adorai per la richiesta. «Ci proverò».

Ci osservammo, ognuno perso nei propri ragionamenti. Notai che sembrava lievemente sollevato, ma poi si rabbuiò. «E poi, non è nemmeno quello il mio vero nome».

Cosa?

Mi dimenticai all'istante di ciò che stavo per domandargli.

«Sai, abbiamo avuto la stessa idea...».

Lo guardai senza capire.

«Quando ci siamo incontrati dicesti di chiamarti Julian, come tua madre. Ebbene, io ti dissi di chiamarmi John... come mio padre».

Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora