Capitolo 49. Luce

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Prima che qualcuno mi vedesse scivolai dentro casa.

Richiusi sommessamente la pesante porta dietro di me e l'oscurità dello stretto corridoio mi avvolse. Mi acquattai.

L'unica luce che vedevo proveniva dal salotto.

Rimasi in ascolto.

Sì, udivo qualcosa: dei rumori tenui, poi la voce di John:

«Cerca di ragionare. Credi di fare la cosa giusta?».

«Se fiati ancora giuro che ti faccio chiudere quella boccaccia una volta per tutte». Seguì un'imprecazione. «Questa fottuta lingua sta facendo impazzire anche me», ringhiò tra sé e sé uno degli scagnozzi.

Non capii cos'altro disse ma qualunque cosa fosse non sembrava cordiale. Mi rimisi in piedi e, più silenziosamente che potei, arrivai alla luce... Attesi un momento per calmarmi e mi affacciai cautamente. Non capii subito ciò che vidi.

La porta d'ingresso era tornata chiusa, tutto ciò che costituiva un intralcio era stato addossato alle pareti – compreso il tavolo in rovere – e, dove prima si trovavano il divano, le poltroncine e il piccolo tavolo basso, c'erano ora due "oggetti" – o forse più di due – che decisamente non avrei saputo nominare: grandi, alti come un bambino, squadrati, grigio lucido e poi... no, non avrei nemmeno saputo descriverli. Avevano delle piccole luci colorate all'interno e altre "cose" di varie forme e dimensioni che li ricoprivano. Ma non fu questo a farmi rabbrividire: John era con mani e piedi legati, seduto contro il muro accanto al camino spento. Nel centro del salotto, in mezzo ai due strani manufatti, c'era Brigid, sdraiata su una specie di letto chiaro. Era immobilizzata con delle altrettanto strane cinghie cineree di materiale simile a cosa? Non lo sapevo.

Sembrava che dormisse ma di tanto in tanto la sua espressione si contraeva impercettibilmente, sulla testa incombeva una diavoleria spaventosa e uno degli assassini... Se ne stava seduto su una sedia mentre armeggiava con altri arnesi sconosciuti, inspiegabili, luminosi apparecchi.

La scena mi tolse il fiato ma subito dopo sentii la rabbia scorrermi nelle vene. Strinsi la presa sulla mazza che avevo portato con me. L'uomo era voltato di spalle. Stavo agendo da vigliacca? Non me ne importava, non potevo rischiare maggiormente.

L'arma era poggiata a terra, alla sua sinistra.

Il momento buono...

Uscii lentamente allo scoperto e John spalancò gli occhi quando mi vide ma rimase immobile.

Mossi qualche passo con estrema attenzione in direzione dell'assassino, con la mazza brandita.

Ero vicina, ancora più vicina... fino a che...

Il pavimento scricchiolò.

L'uomo si girò con uno scatto verso di me e colpii forte prima che attirasse rinforzi, facendolo stramazzare privo di sensi.

Uhh, iniziavo a prenderci la mano.

Senza perdere tempo appoggiai la mazza e corsi liberare John. O almeno era quello che avrei voluto fare ma non avevo la più pallida idea di come aprire le inusuali morse metalliche che gli impedivano i movimenti.

«Vivian, grazie al cielo stai bene. Ascoltami», bisbigliò lui concitato. «Scappa, non puoi far niente. Tra poco torneranno. Ho mentito dicendo di aver nascosto il dispositivo non molto lontano da qui. Ho dato indicazioni false ma non staranno via a lungo e in più ti stanno cercando, devi andartene».

«No, prima devo liberarvi. Ci dev'essere un modo». Ma che catene erano – sempre che lo fossero – ? Com'erano chiuse?

«Non puoi senza la chiave».

«Dov'è?».

«Non ha importanza».

«Dov'è?», ripetei.

«Ce l'ha il mio ex collega, Hector. Ma non potresti riconoscerla. Io stesso non so esattamente come sia fatta».

Inutile, le morse non si aprivano.

«Lascia stare, salvati!».

Andai da Brigid ma pure con lei non ci fu nulla da fare. La chiamai più volte, scuotendola, ma non ebbi risposa. «Perché non si sveglia?».

«Ti imploro, vattene», insisté. «Lo vorrebbe anche lei. Lo vorrebbe William».

Will... Se solo potessi...

Una nuova idea si fece strada dentro di me, indicandomi una via di fuga dal baratro nel quale ero stata catapultata.

Finalmente vidi della luce.

Pensai di sbarrare la porta ma non vi era modo, così tornai lesta da John. «Dov'è il dispositivo?».

«In camera di Briget, dietro il letto», disse sovrappensiero; poi si bloccò, come se si fosse improvvisamente accorto di aver rivelato troppo. «Che intenzioni hai?».

«Adesso so cosa devo fare».

«Non essere sciocca», mi ammonì.

«Mi ha salvato la vita, ora tocca a me ricambiare il favore». Feci per andarmene ma mi chiamò. «Aspetta...».

Mi avvicinai.

«Vivian», sussurrò grave, forse intuendo la mia decisione. «È morto». I suoi occhi si tinsero di rosa luccicante. «Non volevo dirtelo perché il primo a non accettarlo ero io».

Mi sconvolse.

«Non abbiamo ricevuto nessun avviso in futuro, nel nostro mondo», proseguì. «Vuol dire che tutto ciò che potremmo mai provare a fare non funzionerà. Capisci quello che sto dicendo?». Il suo sguardo racchiudeva una sofferenza inimmaginabile. «Mi dispiace. Sono io il responsabile. Non passa giorno in cui non provi rimorso o non mi maledica per ciò che ho fatto. Se c'era qualcuno che doveva sacrificarsi, quel qualcuno dovevo essere io ma tu non hai colpe. Non mettere a repentaglio la tua vita per una causa persa in partenza».

Sì, aveva intuito le mie intenzioni.

Una voce ci interruppe e – mi resi conto – proveniva dall'oggetto attorno al polso dell'assassino tramortito: molto simile a quello dell'altro assassino di nome S.

Sapevo di avere sempre meno tempo.

Scattai verso camera.

«Non farlo, ragiona!».

«Mi dispiace», dissi voltandomi a guardarlo. «In questo momento non so cosa sia la ragione».

Corsi a spostare il letto.

Niente. Non c'era niente. Eppure avevo sentito bene: il dispositivo era dietro al letto di Brigid, doveva esserci!

D'un tratto udii delle voci intorno casa.

Maledizione! Non può finire così!

In preda alla disperazione calciai il muro con rabbia. Il rumore provocato fu insolito. Era come se ci fosse un vuoto. Mi piegai per osservare attentamente e sfoderai il pugnale, conficcandolo nelle fessure... Con mia sorpresa, la lama sparì. Avevo capito.

Forzai ancora finché riuscii a spostare la roccia dalla parete. Dovetti aiutarmi anche con i piedi ma, alla fine, la roccia-cassetto si aprì rivelando il suo contenuto: un ignoto oggetto nero.

Mi ricordò il marchingegno di Will: l'aspetto era somigliante, solo che questo era molto più grande, come una grossa pagnotta squadrata. La luce che filtrava dalle finestre riluceva sulla sua superficie nera, creando riflessi affascinanti.

Dei passi nell'atrio mi fecero rinvenire.

«Vivian, scappa!», gridò John e così feci.

Afferrai il dispositivo per una curiosa sporgenza – fortunatamente non era molto pesante – e sfrecciai verso la porticina sul retro ma non appena passai davanti alla porta principale trasalii, ritrovandomi faccia a faccia con Hector.


Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora