Capitolo 20. Confessioni

84 10 0
                                    





La sua barbetta fine e un po' ispida mi solletica le dita.

Siamo ancora abbracciati, nella nostra radura, vicino al salice, in un giorno diverso.

Appoggiata sul suo petto, sento la sua risata vibrare nell'aria ed è così bella che mi distrae da tutto il resto.

Mi sta prendendo di nuovo in giro sulla grandezza della mia mano. «Non posso credere che siano così piccole», dice.

«Non sono piccole», replico io, «sono le tue ad essere grandi, smettila!».

Le mette a confronto l'una sull'altra.

«Ma cosa dici? Guarda qua, ti rendi conto? Mi sorprendo che tu riesca a mangiare col cucchiaio!».

Vuole solo stuzzicarmi, lo so. In verità non sono minuscole come dice. Casomai sono più esili, più fragili; non sono state forgiate da anni di duro lavoro e battaglie...

Il suo sospiro dolce all'orecchio mi provoca le vertigini. Chiudo gli occhi, rilassandomi, e un piacevole formicolio si propaga fino al braccio.

Penso che questo sia un altro dei tanti momenti che non dimenticherò mai.

Continua a prendermi in giro ma, anche se fingo di essere indispettita, mi piace quando fa così. È provocante.

Ridiamo mentre ci facciamo il solletico come bambini e, ben presto, le mie labbra sono sulle sue.

È un bacio lento, tenero, intenso, lungo...

Mi ritrovo stretta a lui, appagata e senza fiato.

Torniamo a contemplare le prime stelle della sera.

«Tu mi fai sentire a casa anche se sono di un altro mondo», bisbiglia.

Assaporo il leggero frusciare delle sue dita tra i miei capelli e l'indugiare dei polpastrelli morbidi sulla cute.

«Addirittura?», sussurro ancora a corto di fiato.

«Era da tanto che non mi aprivo con qualcuno. Con te mi sento... me stesso. È bello stare con una persona in questo modo, in modo così... intimo. Anzi, mi correggo, non con una persona: con te. È bello stare con te in questo modo. Mi fai sentire bene». Sospira profondamente. «Volevo che lo sapessi».



***



Mia madre mi chiamò.

Riemersi pigramente dall'assopimento, tornando alla realtà. Realizzai di trovarmi sul balcone della mia camera, al castello, seduta su una sedia. Mi ero incantata a fissare la corte e le mura, senza vedere davvero nulla di tutto ciò.

I miei avevano insistito perché mi trasferissi con loro nel maniero di Phil ma non potevo. Ironia della sorte, adesso non avrei più voluto separarmi da quel luogo.

Scambiai qualche parola ma non avevo voglia di accompagnarla non sapevo bene dove e di intrattenere vaniloqui con gente che nemmeno conoscevo.

Alla fine se ne andò. Le chiesi di portare Silveria con sé, se non altro per fare due chiacchiere in più. Sapevo che la stavo facendo soffrire. Mi dispiaceva tremendamente ma non potevo farci niente. La mia gioia di vivere si era spenta.

Mi appoggiai al parapetto, pensando per l'ennesima volta che anche se mi fossi buttata di sotto probabilmente non sarei morta; non era abbastanza alto.

Rimanere attaccata al presente era troppo doloroso, perciò richiusi gli occhi.



***



«Sai, avevo capito che non eravate come gli altri», dico dopo aver spostato un pedone.

«Ah sì?».

«Sì. L'avevo intuito».

«Da cosa?».

«Beh, per esempio dalla vostra casa».

«Dici che non è molto comune da queste parti?», scherza.

Ridacchiamo.

«La prima volta che l'ho vista sono rimasta a bocca aperta. Insomma, il salotto distinto da dove si mangia, un caminetto riservato appositamente per la cucina, una stanza per lavarsi... senza parlare della porticina segreta. Idea interessante».

«Grazie». Sorride, ammaliante, facendo la sua mossa.

«E poi, un altro fatto che mi ha sempre colpito da quando vi ho conosciuto è che... siete liberi dalle convenzioni. Cioè...». Cerco le parole giuste. «Io avrei dovuto tenere una precisa condotta con te e Brigid dato che siete i padroni di casa. Per di più tu sei un uomo. Da umile abitante del volgo per la quale mi stavo facendo passare avrei dovuto... sì, comportarmi diversamente. Invece non avete mai preteso nulla da me. Non so se mi sono spiegata bene».

I nostri sguardi si fondono. La partita può aspettare.

«Eri così sorpresa che volessi farmi chiamare solo per nome».

«Ecco, è questo che intendo». Adoro la sua capacità di comprendermi. «Mi è sembrato strano ma... mi è sempre piaciuto. Moltissimo. E mi ha sempre fatto sentire libera a mia volta».

Sospira, con quella perenne luce enigmatica negli occhi. Torna a guardare la scacchiera ma so che in realtà sta riflettendo.

Silenzio.

«A cosa pensi?», chiedo.

«Hai un modo di pensare che, onestamente, non ho mai trovato in nessuno che abbia conosciuto in quest'epoca».

«Epoca?».

«In questo tempo», spiega, poi sorride sotto i baffetti corti. «Vedi? Alle volte mi dimentico anche che non puoi comprendere certi termini non ancora inventati».

Sono lusingata. «Vuoi dire che ti ricordo il tuo mondo? Un po'?».

«Sì. Ma non è l'affermazione più corretta».

Ci avviciniamo lentamente.

«E quale sarebbe l'affermazione più corretta?», mormoro, a un palmo dalle sue labbra.

Mi prende il volto tra le mani e il suo sguardo mi scalda nel profondo. «Tu sei  il mio mondo».


Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora