Capitolo 45. Folgore

65 9 0
                                    





Fummo interrotti dall'inaspettato arrivo di Phil, venuto per accertarsi di dove fossi. Rimase all'esterno e, sebbene Brigid lo avesse invitato gentilmente ad entrare, rifiutò giustificandosi di avere delle questioni ad attenderlo. Dopo qualche commento e consiglio della padrona di casa per le ferite – fortunatamente in via di guarigione – sue e di nostro padre, se ne andò raccomandandosi che facessi ritorno prima del calar del sole.

Non so se si accorse del mio stato d'inquietudine ma in merito non disse niente. Appena si fu dileguato tra la vegetazione rientrai per ascoltare il resto della spiegazione. Per tutto il tempo John non si era fatto vedere.

Provavo un profondo rispetto per quell'uomo.

«Quando andrai?», gli chiesi ad un certo punto.

«Domani».

Trattenni il respiro.

«No», affermò Brigid decisa. «Dobbiamo aspettare».

«Vuoi che ci trovino?», ribatté lui, calmo. «Devo andare prima possibile».

«Non se ne parla».

«Ne abbiamo già discusso».

«Adesso non puoi. Sei ferito. Il salto non è uno scherzo e lo sai. Appena potrai, andremo insieme».

«Ascoltami».

«No, tu ascoltami».

Rimasi in silenzio mentre il loro piccolo diverbio proseguiva.

«Bri, ti prego, cerca di capire. Saresti il mio punto debole. Non voglio che tu faccia la fine di Vincent». Riuscì ad avere la meglio. «Devo poter agire il più liberamente possibile». Si sporse sul tavolo per prenderle la mano tra le sue. «Voglio che resti qui. Fallo per me. E poi ti ritroverei nel 2290. Sono certo che mi aiuterai da lì. Troveremo una soluzione. Aggiusteremo le cose».

Un momento...

«John, Brigid», dissi con il filo di voce che mi rimaneva. Parlai lentamente. «Se salverete Will prima dell'incidente non avrà più i suoi poteri». Mi concentrai al massimo per analizzare quell'eventualità. «Questo vuol dire che tutto rimarrà come prima e che... io non lo incontrerò. Giusto? Non incontrerò nemmeno voi».

Mi guardarono tristi. Lei si emozionò.

«Stavamo per dirtelo», replicò John delicato. «Dovrebbe succedere questo. Sì».

Avevo altre domande e così tanto da dire, ma mi limitai a ciò che più avevo a cuore mentre ricacciavo indietro le lacrime:

«L'importante è che Will viva. L'importante è che non gli accada niente». Malgrado gli sforzi, il dolore mi squarciò il petto, la stretta mi attanagliò la gola e la vista iniziò ad appannarsi. Avrei materialmente perso il mio Piccolo Paradiso, loro.

Avrei perso lui.

Ma lo avrei accettato. Se avesse continuato a vivere, ovunque fosse stato, lo avrei accettato.

«Lo porterò sempre nel mio cuore, così come sarà per voi».

«No, Vivian», rispose Brigid angosciata.

La fissai senza capire. «Che significa?».

Fece per parlare ma si zittì, prendendo un gran respiro per poi alzare gli occhi al cielo. Fu John a rispondere:

«Significa che le vite di tutti cambieranno. Compresa la tua».

Silenzio.

«Non potrai ricordare. Sarà come se non fosse mai avvenuto nulla».

Fu tutto spaventosamente chiaro: non avrebbe potuto amarmi, io non avrei potuto amare lui. Non ci saremmo conosciuti e neanche visti. Il nostro amore sarebbe stato cancellato via con i ricordi. I giorni felici – marchiati a fuoco dentro di me – irruppero ancora nella mia mente: il primo incontro... le risate per via di Bianchina, la corsa con il secchio, la partita a lancio con Mary, Gib e Gus, i tramonti sulla spiaggia...

Ciò che avevamo passato e condiviso, di bello e di brutto... sarebbe svanito.

"Ti amerò sempre. Qualunque cosa accada".

Sarebbe svanito anche questo: il ricordo del suo addio.

No...

Mi alzai di scatto con il cuore in gola, terrorizzata, distrutta. Le lacrime scorsero sulle guance prima che me ne accorgessi, umide e tiepide. Brigid si alzò a sua volta e mi abbracciò forte. Piangemmo insieme. Fu atroce, come se ci stessimo salutando in quell'esatto momento. 

Per sempre.




***




«Mi dispiace», disse John, addolorato, dopo il termine di un'ennesima spiegazione. Mi appoggiò una mano sulla spalla in segno di vicinanza. Era afflitto come Brigid. Sospirò. «Non c'è altro modo».

Eravamo tornati seduti. Mi feci coraggio e annuii. «È solo che non è facile da accettare». Tirai su col naso e mi asciugai gli occhi con la manica, cercando di riprendere il controllo che non avevo ancora riacquistato del tutto. C'era un unico motivo per cui non ero crollata, un unico pensiero: Will avrebbe continuato a vivere.

L'importante è che stia bene, mi ripetei.

«Dov'è il dispositivo? Com'è fatto? Come si viaggia nel tempo?», chiesi a raffica per distrarmi mentre mi asciugavo di nuovo gli occhi. Brigid fece altrettanto.

«Devi scusarmi, Vivian», rispose lui provato, «ma è meglio se non ti rivelo altro. Come ti ho detto, i miei colleghi hanno un altro marchingegno in grado di leggere i ricordi e i pensieri altrui e non c'è modo di resistere. Non è che io non voglia dirtelo per mancanza di fiducia. Mi capisci?».

«Sì, comprendo».

«Non è molto grande comunque. E viaggiare nel tempo è più facile di quanto pensi. Il dispositivo è programmato e la macchina nel futuro farà il grosso del lavoro. È sufficiente aprire il dispositivo, premere un tasto rosso e il passaggio diventerà visibile. Si vede come un... vortice... Può apparire in ogni dove e attira ciò che gli è vicino fino a quando non si richiude. Non rimane aperto a lungo. Tutto ciò che si deve fare è saltarci dentro. Ecco perché, parlando, ho usato più volte l'espressione "salto". Perché lo é. Un salto nel buio... È esattamente questo quello che è».

Un boato assordante, forte – insieme ad un improvviso spostamento d'aria – ci scombussolò prendendoci alla sprovvista, la porta si spalancò e la luce del giorno ci accecò.

Fummo avvolti da una densa nuvola maleodorante che ci fece tossire. Pur parandomi la bocca con il lembo del mantello, la gola continuava a bruciarmi. Quando riuscii a distinguere qualcosa tra i fumi prodotti dall'arcano sortilegio, notai cinque uomini robusti disposti ai lati dell'entrata, vestiti con indumenti che non avevo mai visto – del colore delle piante e della terra – ma che, realizzai all'istante, non appartenevano al mio mondo. Alcuni possedevano tratti del viso sconosciuti. Ci puntavano addosso quelle che considerai delle grosse armi – impugnate con entrambe le mani – mentre ci intimavano minacciosamente di non muoverci; lo intuii senza bisogno di comprendere le parole.

Che lingua parlavano?

Sbigottita, impaurita e confusa, vidi comparire sulla soglia un uomo dall'età matura con capelli radi, baffi, barba bruni tendenti al grigio dal taglio corto preciso e inusuale. Lentamente, avanzò nella stanza spostando turbini di fumo e polvere fino a fermarsi esattamente davanti a noi. Gli occhi erano celati da due figure geometriche identiche, scure e allungate a cui non avrei saputo dare nome; se le sfilò con un gesto fluido della mano, rivelando uno sguardo cinereo e freddo. Ci scrutò con aria tanto soddisfatta quanto pericolosa.

«Ciao, John», disse sollevando l'angolo delle labbra in un ghigno aspro. «È da quasi un millennio che non ci vediamo».

Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora