Capitolo 47. Violenza

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«Un paio di settimane fa abbiamo curiosato nella tua mente», proseguì Hector rivolto a Brigid, «dopodiché abbiamo cancellato l'accaduto. Il vostro rognoso mi ha lasciato un bel souvenir». Tirò su la manica destra dell'indumento, mostrando delle fasciature sul braccio. «Avrei tanto voluto dargli una lezione ma non potevamo rischiare che sospettassi qualcosa una volta sveglia, seppur in assenza di ricordi. Ci siamo limitati a fargli fare una bella dormita ma stai pur certa che se ricapiterà me ne occuperò personalmente».

Eravamo sconvolti.

«Sì», confermò l'assassino, «ci hai detto tu quando e dove trovarlo».

Mi sentii mancare. La mente correva, analizzando quella situazione surreale. Non ci sono parole per descrivere ciò che provai: da una parte avrei spaccato il mondo, dall'altra mi sentivo vuota, inerme.

«Vostro figlio era troppo pericoloso per una faccenda così delicata», continuò. «Abbiamo già avuto sgradevoli sorprese. Volevamo esser certi di fare un buon lavoro. E l'abbiamo fatto».

Cercai – senza rendermene realmente conto – un modo per arrivare a quel mostro e ucciderlo, anche perendo nell'intento. In quel momento non m'importava. Volevo solo giustizia. Ma purtroppo ero con le mani legate. Letteralmente.

«Ti tenevamo d'occhio, dolcezza», spiegò alla padrona di casa in tono vagamente compiaciuto. «Sapevamo che John ti stava cercando, ovviamente».

«MALEDETTI!», urlai a squarciagola interrompendo la calma apparente. Per un istante riuscii a svincolarmi e ad avventarmi su Hector ma l'altro assassino di nome S mi riacciuffò prima che lo raggiungessi, bloccandomi il corpo e la testa con una presa ferrea, tirandomi i capelli.

«S, maledizione! Vuoi stare attento!?», ringhiò lui di rimando. «Che ti pago a fare? Occupati di lei e poi torna qui!».

Fui trascinata via senza poter impedirlo.

«Lasciala anche per noi quando hai finito!», vociò un altro.

Tra le risate generali, Brigid e di John protestarono animatamente.

Anch'io urlai e inveii ma servì solo a far aumentare la presa al mio aguzzino. L'ultima cosa che udii prima di essere trascinata fuori di peso furono gli ordini di Hector: «Setacciate la casa e portatemi il dispositivo!». Dopodiché ero all'esterno e la luce mi abbagliò. Mi contorsi il più possibile ma non servì. Se solo avessi avuto le mani libere! Vista la stazza dell'aggressore molto probabilmente non avrei avuto la meglio ma ero sicura che gli avrei almeno fatto male.

D'un tratto mi buttò a terra e mi piantò il ginocchio sulla schiena, togliendomi il fiato, poi mi tappò la bocca con una specie di fascia, legandomela stretta.

«Lo so che non vedi l'ora, zuccherino», sibilò procurandomi un'altra ondata di repulsione. «Sii paziente».

Mi tirò in piedi con un violento strattone, rinnovando la presa. Giunti al piccolo capanno armeggiò con la chiave che aveva rubato. «Sta' ferma!», urlò rabbioso e prima che potessi finalmente colpirlo con un calcio mi schiaffeggiò brutalmente, scaraventandomi a terra. L'erba attutì un poco il colpo ma fu così forte da tramortirmi. Cercai di rimettermi in piedi ma mi afferrò di nuovo, issandomi in spalla apparentemente senza sforzo.

Mi ritrovai nella penombra del casottino che fungeva da dispensa esterna. Addossati alle pareti c'erano pancali e mobili spartani contenenti oggetti e attrezzi vari, formaggi, vino, aceto, olio, miele, altre prelibatezze – la carne era rigorosamente assente – e una gran quantità di contenitori con erbe, spezie, radici, infusi, unguenti curativi di Brigid. Altro ancora pendeva dalle travi del soffitto mentre, al di sotto, erano appoggiati otri e grossi sacchi.

L'assassino inspirò il buon odore con un grugnito. «Ma che sorpresa!», esclamò girando su se stesso – sempre con me in spalla – per ammirare quel ben di Dio. «Tutta questa roba e non volevate offrire?», chiese derisorio. «Non è carino».

Mi lasciò nuovamente cadere al suolo senza troppe gentilezze e mi costrinse a voltarmi verso di lui, stando bene attento a tenermi bloccate le gambe. «Prima c'è qualcos'altro da offrire», disse con un ghigno cattivo.

Tutto ciò che potei fare fu guardarlo con odio profondo.

Si alzò con uno scatto per serrare la porta, poi si voltò. La luce che filtrava dalle finestrelle sbarrate mi permetteva di leggere chiaramente la cupidigia nei suoi occhi.

«Non credevo che le medievali fossero così sexy...».

Si avventò su di me.

Il mio grido fu soffocato dal bendaggio. Provai inutilmente a liberarmi ma la cosa sembrava eccitarlo ancora di più. Mi strappò di dosso la mantella con gesti frenetici, poi le mani bramose e dure tracciarono il contorno del mio corpo, soffermandosi sui glutei, stringendo con forza.

Tentai di respingerlo scuotendomi e agitandomi, invano.

Mi addentò la veste all'altezza della spalla, ridendo ed emettendo versi animaleschi. Sentii più volte l'abito lacerarsi sotto gli strattoni mentre le unghie mi affondavano nella carne, graffiandomi.

Senza poter oppormi sollevò il vestito, insinuandosi tra mie gambe, e le mani viscide s'intrufolarono sotto gli indumenti: una riuscì a palparmi i seni, facendomi male, l'altra scivolò in basso fino a raggiungere la coscia...

Non arrivò a destinazione.

Colsi l'attimo e colpii con la fronte, con tutta la rabbia che avevo. Quello si tirò immediatamente indietro con un gemito smorzato, coprendosi il naso dolente.

Purtroppo non ero stata precisa come avrei voluto ma gli feci ugualmente male. Notai infatti che proprio dal naso colava un rivolo di sangue: piccolo, ma meglio di niente.

Sputò tra i denti l'insulto più vecchio che potesse essere rivolto a una donna prima di tornare alla carica. Infuriato, fece per malmenarmi ma qualcosa lo fermò.

Dal nulla udii una voce gracchiante. Non capii da dove provenisse: sembrava lì con noi. C'era qualcun altro?

Lui tornò in piedi con un'imprecazione mentre si puliva la parte lesa, rivolgendomi occhiate aggressive che ricambiai, poi avvicinò al volto un oggetto scuro che gli avvolgeva il polso. Non avrei saputo nominarlo. Non avrei neanche saputo dire di che materiale fosse fatto. Notai però che emanava una luce. Com'era possibile?

Se lo portò alla bocca. «Che c'è?», ringhiò.

La voce gli rispose e, realizzai, proveniva esattamente da quell'oggetto. Non capii nemmeno cosa dicesse.

«Adesso?», abbaiò mentre mi teneva d'occhio. Scambiò ancora qualche parola con la voce non identificata, nel frattempo cercavo disperatamente un modo per uscire da quell'incubo.

«Ho capito. Sì, ricevuto». Sputò un'altra imprecazione ed estrasse dalla tasca una strana corda: fine, liscia, corta e bianca; me la legò stretta attorno alle caviglie nonostante le mie proteste, impedendomi i movimenti. L'istante dopo mi mollò l'ennesimo sonoro ceffone, stringendomi il mento con una mano e premendo tanto da tenermi ben salda la testa.

«Abbi pazienza, zuccherino. Torno appena possibile. Non vorrei che ti sentissi sola!».

Uscì sbattendo la porta dietro di sé e udii la chiave girare nella serratura, poi i suoi passi pesanti che si allontanavano verso casa.

Se Will fosse qui, pensai amaramente, sarebbe lui a divertirsi con te!

Rimasi un breve momento in ascolto, quindi mi issai rapidamente a sedere ignorando il dolore che mi pervadeva in tutto il corpo e con fatica arrivai al mio pugnale di cui perso nella libidine, grazie al Cielo, il mio aguzzino non si era accorto.

Non fu facile ma alla fine riuscii a liberare gli arti, dopodiché mi gettai sulla maniglia.

Niente da fare, ero in trappola. Maledizione! Mi guardai intorno e d'istinto cercai un utensile per scavare e tentare così, con molta fortuna, di fuggire. Oppure avrei potuto usare la lama per forzare la serratura... Ma d'un tratto un rumore attirò la mia attenzione.

Affinai lo sguardo nell'oscurità e mi sentii mancare il respiro: la maniglia aveva cominciato a muoversi.

Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora