... Ma non allontanarti troppo per non essere dimenticato - Siracide

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Stava osservando la scena in silenzio, accanto alla fidanzata, e non poteva fare a meno di domandarsi come avrebbero potuto trovare il giusto equilibrio. La situazione di Nikola non era semplice, ma quella di Alessia era, se possibile, ancora più scomoda. Era chiaro che avrebbe voluto stare accanto a Nikola e conoscere il bambino, ma era altrettanto chiaro che si stava trattenendo, cercando di lasciare loro spazio e tempo per costruire un legame.

In quel momento la ragazza stava fissando il palleggiatore, sorridente, ma a lui sembrò che quel sorriso nascondesse, dietro l'amore, una profonda tristezza. Osservò Nikola: giocava con le manine del figlio ed era completamente concentrato su di lui. Poi Nataša gli porse il piccolo, mettendoglielo in braccio, e il giovane si irrigidì. Si vedeva che era la prima volta e non era abituato. Dopo pochi secondi, tuttavia, si rilassò e un ampio sorriso comparve sul suo volto.

Con la coda dell'occhio colse un movimento e si girò verso quello che aveva attirato la sua attenzione, vedendo Alessia muoversi verso l'uscita. Non sorrideva più. Non era lontana da loro e stava per raggiungerla, ma Goran, materializzandosi da chissà dove, fu più veloce.

Lo schiacciatore la prese per un braccio, ma lei non lo guardò in faccia.

Juan si scambiò un'occhiata con Betty, preoccupato, rimanendo però fermo.

<<Vuoi che ti porti a casa?>> udì Goran chiedere all'amica.

Evitando il contatto visivo, lei esitò, poi annuì.

<<Aspettami fuori. Pochi minuti e sono da te>> continuò lo schiacciatore.

Alessia annuì di nuovo e poi si allontanò.

Betty la chiamò e riuscì a farla voltare verso di loro.

<<Lo diciamo noi a Nikola>> la rassicurò la bionda.

<<Grazie>>

Alessia riprese a camminare senza più guardarsi indietro.

Juan si ritrovò a temere per l'amica: quanto a lungo avrebbe resistito?


Quando Nikola aveva preso in braccio il figlio una fitta le aveva attraversato il cuore; e quando aveva notato gli sguardi tra lui e Nataša le era mancata l'aria.

Era una verità che doveva affrontare: il legame tra due genitori non sarebbe mai venuto meno.

Aveva sentito il bisogno di allontanarsi, di respirare un po' di aria fresca.

Poi Goran l'aveva trattenuta e lei aveva accettato la sua offerta di un passaggio a casa. In quel modo, da un lato avrebbe dato a Nikola tutto il tempo che desiderava per stare con Matija, dall'altro avrebbe allontanato dagli occhi quell'immagine di famiglia che si era piantata nella sua mente e minacciava di non sparire più.


Era passato poco più di un quarto d'ora quando Goran uscì dal palazzetto. Camminarono in silenzio fino all'auto del ragazzo. Alessia non alzò mai gli occhi, preoccupata di poter incrociare i suoi.

Non voleva leggervi quello che sapeva vi avrebbe trovato: compassione, affetto, solidarietà.

Non voleva vedere quelle cose nello sguardo dell'amico perché sentiva di non meritarsele. Si vergognava del suo comportamento, del suo non riuscire a gioire pienamente per Nikola, della sua sofferenza. Avrebbe voluto reagire in modo diverso, più maturo e corretto, ma non ce la faceva.

Lui guidò senza parlare, lanciandole qualche occhiata ogni tanto. Alessia intuì che avrebbe voluto dire qualcosa, ma gli fu grata del suo silenzio.

Arrivati sotto casa sua, però, Goran la trattenne mentre lei stava per scendere dall'auto.

<<Ale, aspetta>>

Lei tenne lo sguardo fisso sul vetro, ma si fermò.

<<Goran...>> iniziò.

Tuttavia la presa sul suo braccio si strinse e lei si rimangiò le parole che stava per dire.

<<Non dirmi che stai bene, perché non è vero>> la sgridò l'amico.

<<E' così evidente?>> chiese scoraggiata.

L'ultima cosa che voleva era che Nikola se ne accorgesse.

<<Per me lo è>> la voce dello schiacciatore si addolcì. <<Posso salire?>>

La ragazza sospirò e acconsentì. Tutto sommato, un po' di compagnia forse le avrebbe fatto bene.

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