1 - Sonata al chiaro di luna

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Il camerino non mi è mai sembrato un posto così vuoto e al contempo così pieno: di ansie, di aspettative, di emozioni. Di sensazioni che sembrano essere nate in questo preciso momento, proprio come me. Non conservo alcun ricordo, se non quello in cui sono intrappolata adesso, e l'andirivieni dei medici della settimana scorsa, durante il mio ricovero all'ospedale San Giacomo, nell'asettico reparto di neurologia. Di ciò che sia successo prima la mia mente non sa nulla. Ricorda solo una melodia.

Il cuore mi martella forte nel petto, proprio nel punto dove avverto una leggera pressione a causa della paura. È il mio primo debutto, il biglietto di ingresso per una nuova vita, per dare un senso alla mia esistenza confusa e non ho intenzione di sprecarlo.

Mi alzo dalla sedia girevole e imbottita e mi dirigo verso la porta di legno chiaro della stanza illuminata solo dalle lampadine gialle disposte attorno allo specchio, dove si trova, appoggiata allo stipite, la figura di Nunzia, l'unica donna di cui abbia una conoscenza più approfondita. È stata lei, dopo avermi dato assistenza come infermiera in ospedale, ad accogliermi in casa sua e a prendersi cura di me a seguito della mie dimissioni. Il resto del mondo, invece, rimane un mistero e un ammasso indistinto di persone dietro alle lunghe tende rosse a pochi passi da me.

«Sei sicura di star bene, Sol?» mi chiede con tono gentile, come quello utilizzato quando mi ha affibbiato questo nome. Quando mi ha incontrata, non sapevo nemmeno come mi chiamassi e, poiché l'unica cosa che riuscissi a intonare era questa persistente sinfonia nella mia testa, ha deciso di donarmi una nuova identità. Sono diventata, da quel momento in poi, Sol.

Mi accarezza le ciocche lisce e castane e i suoi occhi azzurri si riflettono nel marrone dei miei, lucidi a causa dell'emozione.

«Non tormentarti, piccola mia» aggiunge ancora in tono consolatorio, notando il mio sguardo preoccupato. Le rughe sotto i suoi occhi divengono più rimarcate quando alza le sopracciglia bionde e mi guarda con intensità. «Andrà tutto bene.»

Annuisco e la guardo dritta negli occhi per trasmetterle tutta la mia riconoscenza, anche se sono conscia di quanto questo sguardo non basti a esprimere tutta la gratitudine che ho nei suoi confronti per avermi accolta nonostante fossi una sconosciuta, nonostante non avessi nulla da donarle se non sghembi sorrisi, vacui sguardi e qualche risata di tanto in tanto a causa della mia goffaggine. Oltre a qualche piccola esibizione con il pianoforte nero appartenuto a suo marito prima della sua morte.

È stato proprio quando mi ha sentita suonare per la prima volta, qualche giorno fa, mentre davo voce alle note nella mia testa, che ha deciso di portarmi qui. A suo parere, il mio talento dovrebbe poter essere ascoltato da chiunque.

«Ed ecco a voi la signorina Sol!» annuncia al microfono la voce di un uomo al di là del tessuto scarlatto.

Nunzia mi esorta ad avanzare con una spinta affettuosa e io procedo, scostando le tende morbide davanti a me, per poi rimanere a bocca aperta quando osservo la platea, su cui scende il silenzio. Le file ordinate di persone accomodate sulle poltrone rosse del teatro Radar si ammutoliscono e mi osservano con occhi curiosi, a tratti affascinati.

Mi siedo sullo sgabello vicino al pianoforte, in attesa del via da parte del maestro piantonato dall'altra parte dello strumento, rigido e privo di emozioni nel suo abito nero ed elegante.

Le note di "Sonata al chiaro di Luna" di Beethoven iniziano ad affollare la sala nel momento stesso in cui le mie dita si posano sui tasti, esperte, veloci, senza alcun timore. Fluiscono e mi riportano alla mente immagini di notti stellate, delle campagne attorno alla città chiazzate dalla luce lunare, di coppie stese sui manti erbosi a osservare la volta celeste dipinta di blu.

Riapro gli occhi e, quando incontro un paio di iridi verdi in mezzo alla folla, la musica dentro alla mia testa smette di suonare, così come le mie mani terminano di scorrere sulla tastiera. La sinfonia scompare e, con lei, l'ultimo elemento certo della mia vita passata. Mi alzo, in preda al panico per il blocco e cerco di raggiungere l'uomo che avevo visto per chiedergli cosa mi avesse fatto, ma quando mi faccio largo sotto gli occhi sconvolti della gente, l'individuo è già scomparso. Al suo posto, solo le prime pagine dello spartito che stavo suonando e un biglietto, sulla cui superficie anteriore è riportata una frase: "Troverai presto la chiave che ti riporta da me". Sul retro è presente un frammento di linea curva, accompagnato dal nome di un luogo: Piazza Vittorio Emanuele II.

NOTA DELL'AUTRICE:

Nella premessa avevo scritto già di quanto questo fosse un esperimento, un genere a cui non sono abituata, ma lo ripeto, perché chissà come tutti saltano le premesse e niente, così poteva essere più chiaro. Ho paura? Tanta, perché è la prima volta che mi metto in gioco in un campo diverso da quello puramente fantastico. (Eppure, ci saranno elementi inverosimili pure qua, vi avverto. Tanto per cambiare, hahahahah.)

Il titolo, comunque, viene dall'omonima opera di Beethoven, se qualcuno non lo sapesse. Rappresenta un piccolo, minuscolo nodo all'interno di questa storia. Un elemento che vi sarà chiaro solo più avanti.

Come avrete notato, il capitolo è brevissimo e lo saranno, ve lo anticipo, pure tutti gli altri. Penso che come inizio tutto questo sia già abbastanza. Spero solo di non avere blocchi di sorta durante la stesura.

Detto questo, cosa ne pensate di questo capitolo? Cosa ve ne pare? Sono ansiosissima di ricevere riscontri e pareri sui personaggi!

Maria xxx

La chiave di SolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora