Dapprima inizio a pensare che sia tutto frutto della mia immaginazione o della botta a seguito della quale sono finita in ospedale. Mi stropiccio gli occhi, per avere una visuale più chiara, ma l'omino nero davanti a me continua imperterrito a fissarmi con i suoi vacui occhi bianchi, a scrutarmi con espressione divertita, quasi volesse prendersi gioco di me.
«Tu non puoi essere vero» balbetto, in preda al panico. Cerco di prendere un respiro lungo, nella speranza di vedere quella figura nera scomparire davanti agli occhi e lasciare il posto a una persona reale, ma ciò non accade e io inizio a tormentarmi i ciuffi castani con le dita. Non posso credere di essere finita in una situazione simile.
«Invece lo sono» mi risponde l'altro con tono giocoso. Adesso non sembra più volermi schernire e ciò attenua la rabbia accresciuta nel petto, ma non dirada la confusione nella mia testa. Sono ancora troppo spaventata per accettare una simile apparizione.
Mi guardo attorno e vedo un gruppetto di persone fissarmi come se fossi matta e capisco, dai loro sguardi straniti e dall'espressione attonita sui loro volti ormai consumati dall'età, che loro non possano vederlo o udire quanto mi stia dicendo.
«Hai ragione» aggiunge, quasi mi avesse letto nel pensiero. «Questi individui non possono osservarmi e non vedo il motivo per cui dovrei mostrarmi anche a loro. In fondo, sei tu la persona che stavo cercando.»
«Perché? E chi sei?» gli domando con tono frustrato, incrociando le braccia al petto per evitare di sentire freddo. Il giubbino, nonostante sia imbottito, non mi offre abbastanza riparo dal freddo della sera. «Mi aspettavo di vedere Occhi Verdi e, invece, mi ritrovo te.»
«Occhi verdi, eh? Lui non può venire». L'omino soffoca una risata, ma si ricompone quando vede le mie guance tingersi di rosso e capisce che mi sta irritando. Non sopporto tutta questa ilarità; soprattutto, se a farne le spese sono io. «In ogni caso, puoi chiamarmi Guardiano. D'altronde, è questo che faccio: custodire i ricordi e io sono qua per restituirteli.»
«Perché non può fare tutto lui?» chiedo, inarcando le sopracciglia scure. Vorrei domandargli altro, come per esempio il motivo per cui abbia affermato di potermi restituire le mie memorie, ma quella e altre decine di domande svaniscono quando lo guardo negli occhi, avvolti da un vago brillio. «È venuto a teatro per vedermi, suppongo e ha lasciato questi» continuo, sventolando i fogli davanti a lui con una certa sensazione di disagio nello stomaco, perché so che sto dando un bello spettacolo davanti a questa gente. Se non hanno chiamato l'ambulanza o la polizia, posso solo ritenermi fortunata. Devo apparire una pazza vista da occhi esterni alla faccenda.
«Scoprirai tutto a tempo debito, Sol. Ora devi solo lasciarmi svolgere il mio lavoro» mi interrompe, scuotendo la testa; dopodiché, muove in modo bizzarro le mani e il manto scuro si colora di azzurro, l'aria inizia a profumare di caffè e gli alberi attorno a noi hanno smesso di farsi cullare dalla corrente. Le luci colorate della fontana, qualche secondo prima in funzione, smettono di chiazzare l'acqua, tornata del suo consueto trasparente e un paio di uccellini volano sopra di noi, cinguettando.
«Ma cosa succede?» chiedo, portandomi le mani alla bocca per lo spavento. «Come hai fatto a...?»
«Siamo nel primo dei tuoi ricordi» afferma, indicando i tavolini del Bar Smeraldo a un angolo della piazza. «Guarda là. Quella figura non ti sembra familiare?»
Mi basta una sola occhiata per capire che la ragazza dai capelli castani e il maglioncino rosa, seduta assieme ad altre due coetanee, sono proprio io. Vedo la me stessa di quel momento prendere un bicchiere di succo d'arancia e sorseggiarlo con noncuranza, con lo sguardo spento puntato sulla superficie dei tavolini bianchi all'interno del gazebo scuro.
«Tutto questo è surreale» mormoro, deglutendo a fatica. Quanto mi sta accadendo mi spaventa più dell'aver dimenticato le note dello spartito. «Io non posso essere dentro le mie memorie! Devo aver perso la ragione, oppure sto sognando o...»
«Né l'una e né l'altra cosa sono accadute, puoi stare tranquilla» nega la figura nera accanto a me con un'alzata di spalle. «Ora, però, guarda in quella direzione. Non c'è niente che attiri la tua attenzione?»
Volgo lo sguardo in direzione dei colonnati bianchi della banca a pochi passi dal bar e la mia attenzione viene subito catturata da un paio di occhi verdi, appartenenti a un ragazzo poggiato su una moto, intento a scrivere qualcosa sul suo cellulare. Quando alza lo sguardo da esso, per poi puntarli in alto, verso il cielo terso, i nostri occhi si incontrano per qualche secondo e un nome inizia a pizzicare le corde negli angoli più remoti della mia mente: Valerio.
Il giovane si sposta un ciuffo riccio e scuro dalla fronte, su cui sono attaccate alcune goccioline di sudore, per poi mollare il casco rosso appeso al suo braccio all'interno della sella chiara del suo veicolo blu notte.
«Vedi quello!» sento esclamare a bassa voce la ragazza accanto alla me seduta la bar, mentre mi dà una gomitata per risvegliarmi dai miei pensieri. «Non ti sembra carino? Sai, sarebbe ora che tu...»
Il mio doppio alza lo sguardo, scocciata per via dell'insistenza della ragazza e guarda dove le indicano, a giudicare dal suo viso contratto in una smorfia, solo per tenerle contente. Quando, però, le sue iridi incontrano quelle di Occhi Verdi, lei scosta subito lo sguardo.
Nell'osservare quella scena mi chiedo perché quel tale abbia avuto un simile impatto sulla me del passato, cosa abbia suscitato in me quella sensazione, quella vergogna tipica di chi non vuole farsi vedere. Da questa prospettiva, con il suo portamento da dio onnipotente e sicuro di sé e la sua giacca di jeans sbottonata sulla maglia bianca, non riesco a comprenderne il motivo.
A sorpresa, Valerio si volta verso la mia controparte più giovane e ammicca nella sua direzione. «Mi chiamo Valerio, se vuoi saperlo!» afferma ad alta voce, facendo voltare tutte le giovani donne presenti, che sospirano al guardarlo. Io, però, sbuffo e così fa la mia ombra.
«Non sarà così per molto, credi a me» dichiara Guardiano, ripetendo i gesti di prima e l'aria fredda della sera, poco dopo, riprende a pungermi la pelle.
«Perché siamo tornati?» domando, sconcertata dalla risposta criptica e dall'improvviso ritorno. «Voglio vedere cosa c'è dopo! Voglio i miei ricordi, mi appartengono di diritto.»
«E li avrai» conferma l'omino, ridendo di gusto per la mia sfacciataggine, «ma non da me. Io posso solo darti questi» riferisce, allungando altre pagine di spartito e un nuovo biglietto, dov'è riportata un'altra linea sinuosa. «E suggerirti di scappare.»
«Scappare? Perché?» chiedo, ma la risposta non tarda ad arrivare. Delle persone sono uscite da una macchina e stanno venendo nella mia direzione.
Terrorizzata, alzo il cappuccio sulla testa e fuggo via da lì a passo svelto, ma mentre corro via non perdo occasione di voltare il foglietto e scoprire il luogo dove sono diretta: la Cattedrale.
SPAZIO DELL'AUTRICE:
Avrei voluto aggiornare ieri sera, ma fra una cosa e un'altra mi è sfuggito tutto di mano.
In ogni caso, questo capitolo è un po' più lungo rispetto agli altri, ma vi assicuro che non supereranno, almeno per ora, questo limite.
In questo capitolo vi viene svelata la presenza di questo fantomatico "omino", che poi sarebbe il Guardiano dei ricordi di Sol. Vi piace come figura? Io mi sono divertita un sacco a scrivere di lui e della scena che vediamo in questo capitolo!
E finalmente conosciamo l'identità di "Occhi Verdi". Come vi sembra a primo impatto? Che opinione avete di lui?
E Sol riuscirà ad arrivare alla Cattedrale tutta intera? O ci saranno problemi?
Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti. Io li aspetto! :)
Vostra,
Maria xxx
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La chiave di Sol
Mystery / Thriller(STORIA COMPLETA - PRIMA CLASSIFICATA NELLA CATEGORIA THRILLER DEL CONCORSO THE GIRLS, TERZA CLASSIFICATA NELLA CATEGORIA MISTERO DI ANIME DI CARTA) La chiave di violino rappresenta il mistero e al contempo la soluzione ai drammi di Sol. È l'unico...