Gocce di sudore mi imperlano la fronte mentre mi guardo attorno. Sono impaurita, sperduta in mezzo a questa marea di gente che si accalca attorno a me in cerca di spiegazioni, di rassicurazioni su un qualcosa di cui nemmeno io sono sicura. Mi pongono domande, mi indicano con le mani pensando di ottenere attenzioni, ma non riesco a distogliere lo sguardo dagli oggetti fra le mie dita e dai quesiti nella mia testa: "Chi è quell'uomo? Cosa mi ha fatto? Com'è riuscito a togliermi la musica - l'unica cosa che ricordavo del passato - dalla mente?"
Fisso il biglietto fra le mie mani e lo rigiro, incerta, fra i palmi. Faccio lo stesso anche con il frammento di melodia, ritornato nella mia memoria solo dopo averlo rivisto sui fogli di carta ruvida e color sabbia lasciati da Occhi Verdi.
Mi affretto a risalire sul palco e a seguire gli ordini del maestro, ormai spazientito, ma nemmeno gli spartiti consegnatimi da lui per riprendere a suonare mi sono di alcuna utilità o l'altra marea di fogli stampati che mi vengono posati davanti agli occhi. Neppure quando provano a mettermi davanti un computer riesco a muovere le mani sulla tastiera. L'unico rimedio sarebbe trovare il resto della melodia grazie all'uomo misterioso.
Mi alzo dallo sgabello accanto al pianoforte, ormai sconfitta e con il volto rigato dalle lacrime. Non mi sono mai sentita così umiliata e la colpa è tutta di Occhi Verdi, ma giuro che quando lo ritroverò gliela farò pagare per avermi fatta sentire così, per avermi portato via la possibilità di ricominciare.
Il nome del luogo scritto sul foglietto balena nella mia mente ancora una volta e decido, all'improvviso, sotto lo sguardo spaventato e confuso di Nunzia, di correre via dal camerino in cui sono da poco entrata e dirigermi verso la piazza indicata, sebbene non sappia dove sia. Però sono quasi sicura che la gente nei dintorni del teatro possa tornarmi utile per raggiungerla.
«Aspetta!» urla Nunzia, cercando di seguirmi, ma sono troppo veloce per lei. Si arresta sulla porta, osservandomi con sguardo sconsolato e le mani poggiate sul petto a causa del fiatone mentre apro la porta di ingresso del teatro. Non sorride più, lei, non come prima, non come quando le speranze le accendevano gli occhi azzurri. Le labbra piene hanno assunto una piega triste, preoccupata. «Non andare via!»
«Devo sapere cosa sta succedendo! Devo scoprire ogni cosa! Forse lui ha tutte le risposte di cui ho bisogno... forse conosce la verità!» L'ultima parola ha un sapore amaro quando esce dalla mia bocca, tremendo quanto l'assenza di risposte alle domande che le ho posto. Lei sa qualcosa, me ne sono accorta dallo sguardo colpevole con cui mi ha osservata quando le ho chiesto notizie. Ha scosso la testa, tutte le volte ed è tornata al suo mondo, alle sue fantasticherie, alle sue memorie da donna ferita dalla perdita, abbandonata alla cure della solitudine in cui lei da sola si è costretta. Non ha detto nulla prima, non mi dirà niente adesso, anche se il prezzo da pagare è la mia momentanea fuga. Crede che mi fermerò e tornerò sui miei passi. Glielo si legge in faccia. Io, però, non lo farò. Ho bisogno di spiegazioni.
Mi costringo a rivolgerle un'occhiata per metà di scuse un'ultima volta, poi mi stringo più forte nel cappotto e vado via, nonostante lasciare indietro Nunzia significhi abbandonare la mia unica certezza.
L'aria, al di fuori della struttura, si fa di colpo fresca quando esco dalla soglia e mi precipito nella strada poco trafficata, stringendomi nel piumino arancione. La gente cammina tranquilla fra l'intrico di strade e di palazzi pittati di bianco e di grigio attorno a me. Di macchine, del solito strombazzare di clacson, a quest'ora tarda del pomeriggio, non ce n'è nemmeno l'ombra. La zona sembrerebbe essere sprofondata in un stato di quiete assoluta, appartenere a un altro mondo, se non fosse per il continuo sferragliare dei treni sulle rotaie alle spalle dell'edificio e delle rare chiacchiere dei passanti.
Attraverso la strada, sicura di non incappare in pericoli e mi avvicino ai tavolini del bar di fronte al teatro per chiedere informazioni. Alcune persone sono sedute a sorseggiare i loro caffè, silenziose, imbacuccate nei loro giubbini di svariati colori e cappelli sgargianti. La vista di tutte quelle tonalità un po' mi disturba, ma decido di non farci caso.
«Mi scusi, saprebbe dirmi dove devo andare per raggiungere Piazza Vittorio Emanuele?» domando all'uomo con il giacchino di pelle immerso nella lettura di un quotidiano.
Alza lo sguardo e mi offre un sorriso gentile. Per qualche momento è balenato nella mia testa il pensiero di averlo disturbato, ma i suoi lineamenti cordiali mi fanno cambiare idea e mi rilasso. «Le basta percorrere questo viale» dice, indicandomi la via dritta e piena di negozi davanti a me. Più in là, vedo uomini e donne osservare curiosile vetrine dei negozi di abbigliamento, chiacchierare con più entusiasmo e i bambini additare verso l'entrata dell'emporio dei giocattoli. «Prosegua per questa strada e troverà la piazza davanti ai suoi occhi. Vedrà, sarà facile, perché non ce ne sono altre lungo il cammino. Non può sbagliarsi.»
«La ringrazio» rispondo, rivolgendogli un sorriso timido.
Mi allontano e seguo le indicazioni del signore barbuto. Mentre percorro quelle vie, non posso fare a meno di soffermarmi sulle insegne luminose dei negozi ormai aperti e dei bar affollati, ma non sono comparabili allo spettacolo che mi si para davanti agli occhi quando raggiungo la mia meta.
Gli alberi che contornano Piazza Vittorio Emanuele ondeggiano al vento fresco e la fontana bianca e circolare, posta al centro della parte di piazza in cui sono arrivata, scintilla luminosa, allo stesso modo dell'acqua che si riversa fuori da essa in miriadi di getti. La gente cammina sulle sue piastrelle grigie, si unisce per chiacchierare vicino ai tavolini dei numerosi bar attorno al suo perimetro o osserva le vetrine degli ennesimi negozi di abbigliamento facendo considerazioni su questo o quell'altro abito.
«Eccoti, ti stavo aspettando» dichiara una voce alle mie spalle, facendomi sussultare.
Quando mi volto, incontro solo una sagoma piatta e nera.
SPAZIO DELL'AUTRICE:
Questo capitolo è stato più "introspettivo", molto di passaggio e spero che vi sia d'aiuto per capire qualcosa della personalità di Sol, anche se si tratta solo di un breve accenno. Ci sono anche scorci della città.
La parte più interessante rimane comunque il finale, dove vediamo questa "sagoma". Chi o cosa pensate che possa essere? Cosa vorrà mai da Sol? Avete pareri al riguardo? Io, comunque, aspetto di sentire le vostre idee, sono molto curiosa!
Buona lettura, ragazzi!
Maria xxx
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La chiave di Sol
Mystery / Thriller(STORIA COMPLETA - PRIMA CLASSIFICATA NELLA CATEGORIA THRILLER DEL CONCORSO THE GIRLS, TERZA CLASSIFICATA NELLA CATEGORIA MISTERO DI ANIME DI CARTA) La chiave di violino rappresenta il mistero e al contempo la soluzione ai drammi di Sol. È l'unico...